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PNRR scuola: c’è anche il rischio di perdere i finanziamenti europei; tutto dipende dalle scelte del futuro Governo

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Ormai è chiaro che le vicende del prossimo passaggio elettorale si intrecciano strettamente con la realizzazione degli obiettivi previsti dal PNRR e quindi anche con la disponibilità di fondi e risorse per le prossime riforme, a partire da quelle che riguardano la scuola e che, complessivamente, mettono in gioco una ventina di miliardi di euro.

I conti sono presto fatti: il 25 settembre si voterà, il 13 ottobre si riunirà il Parlamento e – se tutto filerà liscio – entro fine ottobre ci sarà un nuovo Governo che, come primo impegno, si troverà di fronte alla stesura della legge finanziaria per il 2023.

Le scadenze del 31 dicembre

Ed è davvero difficile pensare che entro il 31 dicembre il nuovo esecutivo sia anche in grado di portare a termine gli impegni assunti con l’Europa, anche se va detto che per quanto riguarda la scuola buona parte del lavoro è già stato fatto. Resta però qualche dubbio in materia di reclutamento e formazione dei docenti, in quanto il DL 115 (Aiuti bis) potrebbe ancora subire qualche modifica in fase di conversione in legge.
C’è poi da capire cosa il nuovo Governo vorrà fare in merito alla “riforma del sistema scolastico” che rappresenta un obiettivo importante dell’intero Piano.
Bianchi aveva parlato di una riforma finalizzata anche ad affrontare il tema, ormai ineludibile, del calo demografico, tema che, per il momento, sembra del tutto assente dai programmi dei due principali schieramenti.
La Lega parla di ultimo anno di scuola dell’infanzia obbligatoria e di riduzione di un anno della scuola primaria, il centro sinistra punta sulla scuola dell’infanzia obbligatoria; si tratta di misure certamente importanti ma che non sembrano sufficienti per affrontare seriamente la previsione di una perdita di un milione di alunni nel prossimo decennio, come i dati demografici fanno oggi pensare.

Tre possibili scenari

L’autorevole sito lavoce.info, con un articolo a firma di Giacomo D’Arrigo e Piero David, ricercatori e studiosi di economia e politiche europee, propone tre possibili scenari.

Secondo una prima ipotesi tutto potrebbe procedere senza grandi problemi, seppure “con qualche ritardo riferito agli obiettivi in corso, ma senza che nulla cambi nella sostanza generale del Piano; ci si limita al rischio di non essere in linea con gli impegni di dicembre 2022 e si concretizza uno slittamento, superato il quale si rientra nell’andamento concordato”.
Seconda ipotesi: il nuovo governo vuole decide di negoziare un “nuovo Pnrr”.
In questo caso, però, “i tempi si dilatano e il rischio di perdita delle risorse si alza notevolmente anche considerando che entro dicembre 2026 vi è l’obbligo di rendicontare tutto il Recovery e bene che vada, rispetto al percorso di revisione, potremmo beneficiare solo in parte delle risorse a nostra disposizione”.
Il terzo scenario è il più complesso: “contrapposizione tra Italia e Commissione Ue e conseguente rottura del contratto con l’Ue, che potrebbe chiedere indietro le risorse già assegnate all’Italia per inadempimento”.