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Prove Invalsi anche per docenti e dirigenti? Bianchi: “Non ho nessun mito del dato, esso sia un supporto”

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Nel pomeriggio del 20 ottobre il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi è intervenuto al convegno di Flc Cgil sulla valutazione nelle scuole.

Sottesa al modello di valutazione c’è non solo un’idea di scuola ma un’idea di società a cui vogliamo arrivare. Sulla base di questa premessa, gli interrogativi che vengono rivolti al Ministro dell’Istruzione Bianchi sono i seguenti:

Nell’atto di indirizzo il Ministro Bianchi dice di volere rafforzare il sistema di valutazione nazionale estendendolo al lavoro dei docenti e dei dirigenti. Gli esiti di tale valutazione faranno da supporto al processo di autonomia scolastica. Ma il modello dei test standardizzati può davvero fornire elementi di valutazione del personale, associando la valutazione alla qualità dell’offerta formativa? In che modo questi test possono migliorare la professione del docente e del dirigente? Non c’è il rischio di soppiantare un modello di scuola che dovrebbe avere nella collegialità e nella corresponsabilità educativa il suo punto di forza?

La risposta del Ministro: “Tutti noi che facciamo ricerca sappiamo che abbiamo bisogno dei dati ma i dati vanno presi con molta attenzione, avendo chiaro a cosa servono e in quale contesto vengono raccolti. Non c’è in nessun modo il mito del dato di per sé, né sono convinto che il dato governi le scelte, il dato deve servire come supporto. E dato che il perno della nostra azione è l’autonomia, ciò significa che la valutazione delle attività svolte nel contesto educativo deve essere svolta in piena collegialità da coloro che portano avanti l’azione educativa. Autonomia significa responsabilità di tutti coloro che nella comunità educante si assumono il compito di far crescere non solo il gruppo nel suo insieme ma le singole persone”.

I dati servano a scoprire dove sono le fragilità

“L’autonomia si deve misurare anche in un contesto più ampio. C’è bisogno di capire come l’altro perno del nostro sistema, il sistema scolastico nazionale, sia in grado di dare a tutti i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze, a tutti i giovani le stesse opportunità di crescita pur avendo consapevolezza che le situazioni di partenza sono molto differenziate, e non è solo una questione di nord e sud, ci sono molti sud anche nel nord Italia”.

“La valutazione insomma deve servire come strumento per migliorare le opportunità che ogni persona deve avere nel proprio percorso educativo”.

“Il sistema scolastico deve essere tenuto insieme, ma per fare questo dobbiamo avere la percezione complessiva di come funziona il sistema nel suo insieme, dobbiamo sapere dove sono le fragilità, le disparità, le diverse condizioni che noi dobbiamo cogliere come spie di un malessere che va valutato e misurato con altri strumenti”.

Oltre ai parametri Invalsi, possibili indagini a campione

“Tutti hanno colto che i parametri Invalsi non possono essere assunti con valore generale. Al Ministero non ci sono solo burocrati. Anche io ho capacità di essere critico. Ma laddove le università e gli esperti ritengano che sia giunto il momento di fare un passaggio in più verso una scuola che abbandoni la propria funzione ispettiva per essere scuola affettuosa che sia capace di accompagnare, ebbene è il momento di farlo”.

“Non si pecchi di banalità, il Pnrr è uno strumento che possiamo usare come leva verso la scuola nuova e su cui tutti stiamo lavorando. Dobbiamo essere tutti attenti nei giudizi. Stiamo cercando di trovare degli strumenti che accompagnino i nostri ragazzi nel loro percorso di crescita. Poi è chiaro che si possano fare anche valutazioni diverse, ad esempio per campione, in alcune situazioni potrebbe essere utile”.

E conclude: “Autonomia e sistema nazionale sono i due perni su cui dobbiamo muoverci, dobbiamo avere la cautela di collocare gli strumenti nel loro effettivo uso e scopo e d’altra parte dobbiamo essere in grado di utilizzare questi strumenti con le capacità e cautele con cui ci confrontiamo con le realtà che andiamo a esplorare”.