Il ministro dell’istruzione Bianchi: “E’ tempo di fare una riforma della scuola e non ho paura di usare questa parola”.
Un’intenzione che mal si concilia con quanto affermava Cicerone: Historia magistra vitae.
Sono più di cinquant’anni che il legislatore ha operato per piegare le scuole alla cultura sistemica, senza riuscirci.
Sono quasi cinquant’anni che la legge ha posto a fondamento del problema educativo le potenzialità degli studenti e da queste, per raffinamenti successivi, ha disegnato i flussi decisionali. Anche in questo caso nessuna risposta è stata elaborata dalle scuole: le discipline rimangono il loro architrave. La progettualità, che muove dal risultato atteso all’impiego delle risorse, è assente; l’insegnamento delle singole materie continua a infarcire il tempo scolastico.
Il ministro, continuando l’intervista rilasciata al tgcom24: “Serve una maggiore collaborazione con l’università”.
Si tratta di una proposizione da prendere con le pinze; la mission della scuola è inconciliabile con quella accademica: la scuola è un complesso unitario, finalizzato, mentre l’insegnamento universitario è parcellizzato.
Situazione avvalorata dallo stesso ministro che ha ricordato la sua precedente “esperienza dell’Emilia Romagna dove gli istituti tecnici erano il massimo della nobiltà del lavoro”.
I loro attuali curricula, infatti, sono lo sviluppo di quanto concepito da docenti delle superiori, coordinati da ispettori ministeriali alla fine degli anni ’80.
Concludendo: non è necessario riformare la scuola, il rispetto della legge è la leva su cui agire. Altrettanto importante è la ridefinizione della funzione docente in termini di progettualità: deve essere tracciata una netta linea di separazione dall’insegnamento universitario.
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