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Scarpe rosse. Combattere la violenza sulle donne passa dalle scelte linguistiche. Il caso del liceo Cavour

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Da dove nasce il simbolo delle scarpe rosse (Zapatos Rojos in lingua spagnola)? La data esatta è il 22 agosto 2009. Protagonista è l’artista Elina Chauvet, nata in Messico nel 1959, che per la prima volta in un’installazione artistica dissemina l’asfalto di centinaia di scarpe rosse, una per ogni donna uccisa nella città messicana di Juárez.

Un gesto e una simbologia che diventano subito virali. Dal primo evento, infatti (nato a partire da 33 paia di scarpe, per l’esattezza), grazie al passaparola la stessa artista poté replicare due anni dopo con 300 paia di scarpe rosse a lei donate.

La ricorrenza istituita dall’Onu

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. Un anniversario, quello del 25 novembre, che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne, che nel nostro Paese ha assunto dimensioni spaventose, per numero di vittime, per ciclicità, per frequenza degli episodi. Un cancro con una intollerabile matrice culturale che solo a partire dalla scuola e dall’educazione sarà possibile svellere.

Il caso del liceo Cavour

Al liceo Cavour di Torino, l’attenzione alla parità di genere passa dalle scelte linguistiche, come abbiamo già raccontato.

In questo istituto, infatti, il dirigente scolastico, in accordo con gli organi preposti e con gli studenti, ha maturato la decisione di usare nelle comunicazioni ufficiali non più sostantivi e aggettivi di genere, ma, per ragioni di inclusività, l’asterisco (al modo in cui si fa talvolta con il simbolo della capovolta, la cosiddetta schwa). In altre parole, non più “studente”, ma “student*”, non “iscritti”, ma “iscritt*”, non “ragazzi” ma “ragazz*”.

Le critiche gli sono piovute addosso massicce anche in questi giorni. Ultime, segnaliamo, ad esempio, i manifesti affissi al portone di corso Tassoni: “Non si storpia la grammatica in nome dell’ideologia gender, non siamo asterischi, ma maschi e femmine”. Un’iniziativa rivendicata dal gruppo Gioventù Nazionale sezione Limes, movimento giovanile di Fratelli d’Italia.

Il punto è – ci sembra corretto sottolineare – che l’uso dell’asterisco può anche non sembrare una soluzione ottimale, ma continua ad avere il merito di aprire un dibattito attorno all’uso che si fa della lingua, un uso che non può non avere connotazioni culturali. Non è più il momento della diseguaglianza, delle disparità di potere o di retribuzione; e dell’oblio (anche) linguistico cui le donne sono state fatte vittima, a partire dai libri di storia, che hanno cancellato le loro parole, azioni, scoperte scientifiche.