Home Didattica Sciascia e il dialetto: quanto è opportuno usarlo in letteratura?

Sciascia e il dialetto: quanto è opportuno usarlo in letteratura?

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Quanto è opportuno l’uso del dialetto nella narrativa? Ed è appropriato usarlo? Se fino ad alcuni decenni addietro esso era per lo più praticato in funzione quasi verista per descrivere le abitudini linguistiche legate al folklore dei ceti sociali che si intendeva rappresentare, inserendo locuzioni, proverbi, modi di dire e antroponimi, con gli anni anche lo stesso Leonardo Sciascia se ne allontana e proprio quando la sua opera incomincia a diventare più universale, europea. Infatti, spiegava a Domenico Porzio che il dialetto riguarda solo i sentimenti più intimi dell’animo, consentendo magari di andare più a fondo di una lingua nazionale e perfino di “raggiungere la madre”, ma il “pensiero metodico, sistematico non può servirsi del dialetto: nessun’opera di pensiero può essere scritta in dialetto”.

Dunque, nonostante il dialetto riguardi la sfera più esclusiva e soggettiva e lui stesso dichiari di essere “molto attaccato al dialetto e lo parlo quasi sempre”, Sciascia sosteneva che bisogna “accettare la avanzata incalzante della lingua e la ritirata dei dialetti, senza alcun rimpianto rispetto al nuovo monolinguismo italofono dei giovani: e non farei nulla perché i giovani tornassero ad usarlo”.

In ogni caso, per Sciascia l’unico modo possibile per usare il dialetto è la poesia, la quale comunque rimane condannata a non uscire dal contesto fisico, sociale, storico nel quale è nata. E in quanto a scrivere versi, si tratta di un’attività cui Sciascia ha dichiarato di essersi dedicato da molto giovane, ma che ha abbandonato non appena ha capito la propria preferenza per il “linguaggio della ragione”, che la poesia può invece a tratti eludere.

Dunque Sciascia, ritenendo il dialetto incapace di pensiero metodico, lo colloca in un ruolo subalterno all’italiano, richiamando il giudizio di coloro che considerarono i dialetti come un fenomeno storico che va concluso con l’imporsi della lingua nazionale, quello stesso in cui lo ha relegato il potere dello Stato unitario, liberale e spesso ostile ai ceti popolari. Ai quali invece Pasolini si rivolge con la sua opera poetica in dialetto friulano, ma come espressione più intima di un popolo, di cui bisogna conoscere la cultura per riscattarne la subalternità al potere borghese. Noti dunque sono le differenti posizioni dei due nei confronti del dialetto, senonché Sciascia ne contesta l’uso, come d’altra parte ha fatto nella versione in siciliano dei Malavoglia di Verga (il quale mai volle usare il suo siciliano) da parte di Luchino Visconti nel film “La terra trema”. Per lui il regista avrebbe “rovesciato linguisticamente il Verga” con un’operazione antistorica.

Allo stesso modo, rivolgendosi al poeta linguaglossese in vernacolo Santo Calì, al quale rifiutò la prefazione a un suo testo, gli rimproverava di adoperarsi perché le sue poesie non venissero lette, “poiché praticamente le seppellisci sotto le traduzioni letterali e poetiche, sotto le prefazioni e le contro-prefazioni, le note, i disegni”. In altre parole, Sciascia concordava con quanto sosteneva Verga quando gli fu chiesto perché non scrivesse, lui verista, in dialetto: perché i suoi scritti sarebbero rimasti in ambito locale, come d’altra parte lo sono gli scrittori dialettali di ogni regione d’Italia. E come è accaduto alla tradizione dialettale milanese nella sua fioritura settecentesca con autori del livello di Giuseppe Parini del quale però si conoscono le opere in italiano, e come è accaduto alla letteratura dialettale dell’epoca di Carlo Porta.

Lo stesso Pirandello non adoperò mai il dialetto, tranne per alcune commedie, Liolà, Il Berretto a sonagli, ma solo per fare contento Angelo Musco che glielo chiedeva espressamente, anche se era convinto, come sostiene Andrea Camilleri per giustificare le intromissioni dialettali nei suoi romanzi, che “la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa”: ma fino a che punto?Per Sciascia tuttavia il limite sta nella mancata autonomia del dialetto medesimo rispetto ai lettori italiani, per cui dopo occorrerà magari una traduzione a fronte che in ogni caso difficilmente corrisponde al significato intimo delle parole stesse.