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Smartphone sempre e ovunque tra le mani, ma vogliamo che i nostri figli diventino dementi digitali?

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Il recente articolo di Alessandro Giuliani comparso su Tecnica della scuola, intitolato Lo smartphone prima dei 12 anni danneggia l’apprendimento a scuola, come tv e videogiochi in eccesso: genitori e nonni lo sanno?, riporta l’attenzione su quello che oggi, a mio parere, è uno degli aspetti più inquietanti che hanno a che fare con l’educazione di bambini e ragazzi: l’uso delle nuove tecnologie, dentro e fuori dalla scuola.  Bene, riprendo dal titolo e aggiungo: i docenti, i dirigenti, i burocrati ministeriali, il ministro lo sanno? Lo sanno che su questo tema le ricerche sono numerose e che i risultati cui giungono sono sempre gli stessi? L’uso e tanto più l’abuso dei device digitali compromette le capacità di apprendimento e influisce sullo sviluppo cerebrale. La ricerca citata da Giuliani è importante, ma è stata preceduta da altri studi, tutti attendibili e perlomeno preoccupanti. Mi limiterò a ricordare che nel 2019 l’Organizzazione mondiale della Sanità, nelle sue linee-guida ricordava che il tempo di esposizione agli schermi dei vari device è del tutto sconsigliato nel primo anno di vita e, sino ai quattro anni, deve essere inferiore all’ora durante la giornata.

Un libro famoso del neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer, Demenza digitale, ci ha aiutato, già a partire dal 2012, a comprendere bene quale sia il problema: secondo Spitzer gli strumenti digitali usati indiscriminatamente dai più giovani hanno importanti e negative conseguenze sia sulle capacità cognitive, sia  sull’empatia elementare che sta alla base di buoni rapporti sociali.

Consiglierei a tutti coloro che si interessano di educazione di leggere il saggio di Spitzer e di verificare quali ricerche siano state fatte in tale campo negli ultimi anni. Riporto un passaggio da un’intervista a Spitzer di qualche anno fa: “I ragazzi non imparano di più attraverso i computer. Questo è stato più volte dimostrato da oltre due decadi. C’è un numero enorme di ricerche che comprovano che lo studio diventa peggiore quanto più viene usato il computer. E se i ragazzi vengono avvicinati al computer, lo usano anche per altre cose entrando in multitasking: cioè ascoltano l’insegnante facendo anche altro. Si distraggono, non seguono in modo corretto e finiscono per fare altro. Il computer così non velocizza l’apprendimento, né lo incrementa. Al contrario lo fa calare”.

Sto citando testi che riportano dati ricavati da ricerche scientifiche: non mi risulta invece che sia mai stato dimostrato il contrario e cioè che l’uso del computer incrementi la capacità cognitiva e produca risultati migliori dell’insegnamento tradizionale. Anche qui non sto dicendo nulla di nuovo e tale incongruenza – e cioè che si postuli la necessità di introdurre massicciamente l’uso dei device digitali nell’insegnamento senza mai portare le prove del miglioramento che ne deriverebbe – è stata messa ben in luce da un breve e stringente saggio dello storico della scuola Adolfo Scotto di Luzio, Senza educazione. I rischi della scuola 2.0.

Ma, dai docenti al superiore Ministero, nei fatti (vedremo che nella teoria non è così) tutti sembrano ignorare l’effetto negativo di smartphone e computer. Temono di passare per arcaici demonizzatori della modernità? Credo, piuttosto, che non abbiano le energie intellettuali per esercitare quel “pensiero critico” che, quasi per magia, la scuola dovrebbe insufflare nelle menti dei più giovani. E che preferiscano adattarsi all’andazzo corrente, per poi magari, accorgersi che l’educazione sessuale degli studenti è degna di un postribolo immaginario in cui sfilino tutte le perversioni catalogate da Krafft -Ebing e, di conseguenza, invocare divieti e cercare di separare la parte “buona” di Internet da quella oscura e maligna. Cervelli infantili, direi citando Baudelaire. Quando gli insegnanti lanceranno un giusto grido d’allarme? Non lo so. Intanto, invito i lettori di questo articolo a verificare quali siano i risultati cui è giunta la Settima Commissione Parlamentare nel giugno 2021.

Lo scopo di tale Commissione era approdare ad un “documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”. Per farsi un’idea sarà sufficiente leggere l’intervento iniziale del senatore Andrea Cangini: “Ho trovato particolarmente interessante tutto quello che c’è stato raccontato, in modo particolare dai neurologi convocati in audizione. Il cervello funziona come un muscolo, si sviluppa sulla base dell’uso che se ne fa, e l’attività che i più` giovani – ma non solo i più giovani, con tutta evidenza – svolgono attraverso i loro smartphone (o i loro dispositivi digitali, quali che siano) e le console per i videogiochi non sollecita il cervello. Intere aree celebrali restano cosı` inerti e, di conseguenza, non si sviluppano. A questo si associano dinamiche e ricadute sociali, come la tendenza all’isolamento e a chiudersi in un mondo virtuale, incapaci di affrontare il mondo reale, la difficoltà nel confronto e nella comprensione del contesto, al di là di tutta una serie di rischi, che per ultima ci ha sottolineato la dottoressa Nunzia Ciardi, direttrice del Servizio Polizia postale e delle comunicazioni della Polizia di Stato, con riferimento ai reati commessi attraverso il web, che sono in evidente crescita […]   Ci sono danni fisici – forse questo è l’aspetto minore – come la miopia, l’obesità l’ipertensione, i disturbi muscolo-scheletrici e il diabete. Ci sono poi i danni psicologici che sono certificati, nel senso che da quando le console per videogiochi sono entrate nelle camerette dei nostri figli e dei nostri nipoti, se non sbaglio nel 2001, tutti i dati confermano una crescita dei vari e infiniti disagi psicologici dei piu` giovani. Da quando, nel 2007, gli smartphone sono entrati nella loro disponibilita`, questi dati hanno vissuto un’accelerazione spaventosa”.

 Per chi fosse interessato, si trovano anche le registrazioni video degli interventi degli esperti consultati (https://www.senato.it/leg18/3545?indagine=16). Da tutto questo lavoro è emersa la circolare, dura nei toni, sul divieto di usare lo smartphone in classe, emanata dal ministro Valditara nel dicembre 2022, preceduta da un certo clamore sulle pagine dei giornali. Riporto, uno per tutti, il titolo scandalistico scelto da “La Repubblica”: “Smartphone come la cocaina”. L’allarme del Senato: “I nostri ragazzi si stanno decerebrando”.

La circolare non era una novità ma si limitava a ribadire un divieto esistente (per chi volesse approfondire: https://www.wired.it/article/smartphone-confermato-divieto-uso-in-classe-valditara/).     Ancora una volta abbiamo seguito la via italiana che porta a non smuovere un dito di fronte a problemi gravi, ma a far molto rumore.

Peggio ancora: con uno strabismo difficilmente comprensibile, 2,1 miliardi di euro del Piano scuola 4.0 sono stati destinati alla transizione  digitale. Intanto INVALSI ci dice che il 49% dei maturandi ha difficoltà nella comprensione di un testo e gli studenti con BES continuano a crescere (nella scuola secondaria di primo grado gli alunni con BES- esclusi i ragazzi con disabilità – ammontano al 12,3%degli alunni iscritti, contro il 7% nella scuola primaria).

   Ostinarsi a considerare un computer collegato ad Internet un sostituto di penna, quaderno e sussidiario è davvero superficiale. I nostri bambini si accostano precocemente ad un modo virtuale che li sottopone a continui shock visivi, e si inoltrano in un universo di immagini in cui violenza e sesso dominano. I più deboli cedono. C’è soltanto un modo di proteggere i piccoli: tenerli lontani da questi Lucignoli perfidi, non farli cadere nella rete dei videogiochi, non raccontare a noi stessi che la scuola deve insegnare ad usare Internet.   L’uso positivo di Internet, strumento preziosissimo, è precluso a chi non abbia una formazione salda (come, per esempio, i più giovani e la metà dei diplomandi che non sanno comprendere un articolo di giornale); questi si limiteranno a “navigare” in un mare tempestoso, a perdere tempo, a “divertirsi”, ottundendo le loro capacità, presi da un universo che qualcun altro ha immaginato per loro. E quindi, se siamo adulti e desideriamo davvero un mondo migliore, lanciamo l’allarme: non vogliamo che i nostri figli divengano dementi digitali.