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Studenti che inneggiano ad Hamas: non il carcere, ma il dialogo e l’insegnamento della storia

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Ho sempre creduto che, se esiste un luogo quale dimensione e spazio della Libertà, un luogo dove libero è il pensiero perché libera in quanto universale e cosmopolita è la conoscenza e dunque la cultura, questo luogo, questo spazio, è la Scuola.

Ma da tantissimo tempo mi sono accorto che anche questo luogo è stato contaminato, forse meglio dire imbavagliato. Un tempo era espressione di una moltitudine frastagliata di modi di intendere la vita nella sua espressione politica e sociale. Centro ed epicentro di incontro e di scontro sempre e comunque in dialogo dal quale si genera il futuro dell’Uomo, attraverso le battaglie per il riconoscimento di diritti, di civiltà, direi di civismo.

Leggo di fazioni odierne radicalmente opposte nel pensiero attorno alla guerra settantennale tra Israele e la fascia di Gaza: in vero unica colpa è che, diversamente dalle dodici tribù rappresentanti il popolo ebraico, unite comunque sotto la Tōrāh (la Legge), che si sono costituite sotto un unico Stato, il popolo della striscia di Gaza, presente ancor prima dell’insediamento degli Ebrei, non ha mai pensato di costituirsi anch’esso quale Stato. Il resto è di questi giorni.

Leggo di fazioni che inneggiano ad Hamas e di fazioni che condividono l’idea dell’attuale Politica di usare il carcere quale massima espressione punitiva, per arginare una possibile deriva. Non credo affatto che sia la strada maestra, e soprattutto che sia questa la Scuola dal e del pensiero libero: ci sono altre forme, altre modalità per “educare” l’estremismo pensiero, partendo innanzitutto dal domandarsi se chi inneggia ad Hamas o ad Israele abbia di fatto contezza, cioè conoscenza dei fatti, della storia di questo travagliato pezzo di terra d’Oriente: fratelli in Abramo!

Esiste il dialogo che è discussione e offerta di conoscenza della Storia da presentare durante un’ora di lezione, e non importa quale sia la disciplina, poiché la Storia non ha luoghi specifici, poiché essa è tutti noi. Siamo noi: linguisti, letterati, matematici, informatici, ecc. Questa è l’unica arma per sconfiggere l’ignoranza, l’estremismo, la durezza e la cecità del pensiero.

E anziché gridare al carcere, inviterei alla riflessione e magari al non solito silenzio-accettazione dinanzi alla caritas (che io chiamerei la pietas) politica che dal 9 ottobre ci offre scontistiche sul trasporto pubblico nazionale e su vari generi alimentari nella convinzione di contribuire ad una risoluzione che ponga margine alle tante difficoltà sia di natura logistica, sia di natura economica, nella ingegnosità di essere dimentichi di includere soprattutto il perimetro caldo del trasporto Regionale, quello che in vero è stracolmo di umanità, che dall’alba al tramonto riempie le rotaie e le strade di questo nostro Paese, da nord a sud, per un tocco di pane, una briciola di dignità, mai bastevole, mai abbastanza nemmeno per la sopravvivenza alla sopravvivenza: e gridiamo al carcere! Mio Dio!.

C’è confusione nell’aria, c’è confusione nel pensiero, nell’agire. O forse c’è la volontà mista alla convinzione che la Scuola (come altri “luoghi” sociali) sia anche uno spazio di idioti, semplicemente perché il peccato sta nel non lottare per rivendicare un salario ed una dignità negata, defraudata, violata e violentata.

Mario Santoro

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