Home Attualità Concorso 2016, la mia esperienza tra software beffardi e drammatiche incoerenze

Concorso 2016, la mia esperienza tra software beffardi e drammatiche incoerenze

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Un countdown al cardiopalma e un’impietosa lotta contro il tempo: difficile dimenticare quegli attimi di tensione dipinti sul volto di Sean Connery nel finale di Missione Goldfinger; a sette secondi dalla detonazione fatale, Bond disinnesca l’ordigno e solo allora il tempo impazzito sembra congelarsi di schianto.

Un software beffardo

Non c’erano agenti segreti a sostenere, lo scorso mese di maggio, le prove scritte del temutissimo Concorso previsto dalla legge 107/2015 per l’assunzione di personale docente, ma soltanto insegnanti abilitati, con alle spalle una considerevole e pluriennale esperienza nella scuola.

Inoltre non era prevista una bomba radioattiva da disinnescare, ma un software beffardo, nel quale destreggiarsi per poter rispondere esaustivamente a otto domande, sei delle quali semistrutturate a risposta aperta e le due restanti in lingua straniera, livello B2.

Prova impari, sia nella logistica sia nella tempistica, come ben ha intuito e descritto Claudio Giunta, accademico medievista dell’Università di Trento, nel suo recente articolo I cento metri di italiano: domande troppo vaghe e complesse per poter essere ben argomentate in tempi assurdamente ristretti e consegne evanescenti, formulate talora in modo inesatto o incoerente.

Fermato il 55,2% dei partecipanti

Cerchiamo tuttavia di ricostruire le dinamiche di una prova scritta che, a livello nazionale, come un castigo divino, ha fermato il 55,2% degli oltre 71 mila partecipanti, facendo registrare – dalle Alpi alle isole – il record di bocciature, sia nelle materie scientifiche sia in quelle letterarie.

Chi scrive è stato testimone oculare dei fatti, pur riuscendo alla fine a superare la prova e ad andare sino in fondo. I quesiti d’area letteraria, per esempio, prevedevano la pianificazione di una singola lezione, di un’intera unità didattica o di un curriculum di letture su argomenti quali la lirica petrarchesca, il tema della memoria dal Romanticismo all’Ermetismo, il tema del diverso e dello straniero in letteratura, la demografia europea, la Costituzione: insomma, dai classici letterari alla geografia umana, dall’antologia all’educazione civica. Nello spazio di un click. A questo punto, attraverso quattro passaggi, proviamo a individuare le principali criticità che hanno reso per molti la prova d’italiano una trappola senza scampo, un labirinto senza uscita congegnato in modo perfetto e letale.

Capitolo primo. Il timer

Credo, senza tema di smentita, che l’aspetto psicologico sia uno degli elementi chiave in ogni prova d’esame, come per altro in ogni gara sportiva. Ebbene: non solo il tempo assegnato dal Ministero per argomentare in modo articolato otto domandoni zeppi di contenuti, ovvero 150 minuti, è stato vergognosamente breve (di fatto, 18 minuti a quesito, utili a mala pena per impostare un primobrainstorming), ma il software caricato sui pc faceva comparire sullo schermo, in alto a destra, un timer luccicante, verde smeraldo. Con il primo click, che dava accesso al quesito d’apertura, l’orologio iniziava la sua corsa a ritroso, diventando spada di Damocle sul capo dei candidati, costretti a scrivere di getto e sotto stress, senza alcuna possibilità di riflettere su quanto digitato alla bell’e meglio. Nell’aula in cui eravamo stipati, così piccola che il sincrono ticchettio delle tastiere sembrava una raffica di mitragliatore, ho visto una collega piangere silenziosamente e un’altra abbandonare anzitempo la sua postazione e il sogno di una cattedra a tempo indeterminato.

Capitolo secondo. Il meccanico incompetente

Per comprendere appieno la difficoltà dello scritto, occorre tuttavia chiarire un aspetto decisivo: in un tempo, come detto, insufficiente, ogni candidato era chiamato non solo ad attingere alle proprie conoscenze disciplinari, ma anche a inserire argomenti, dati e considerazioni in una cornice progettuale ben strutturata. Una progettazione didattica è composta da metodologie (somma di vari tipi di lezione: ricettiva, euristica, a scoperta guidata, ecc.), tecniche (cooperative, operative, simulative), interventi per l’inclusionedi alunni con bisogni educativi speciali e competenze digitali. Tutti questi elementi sono a loro volta composti da termini specifici, che non si possono né improvvisare né tanto meno confondere, per non alterare la dinamica progettuale nel suo insieme. In altre parole, i contenuti disciplinari erano fondamentali, va da sé, ma non sufficienti per impostare correttamente i quesiti d’esame. Occorreva precisare la parte progettuale, forse ancor più complessa, se improvvisata. Sia sufficiente il seguente esempio: è come se ci si rivolgesse a un buon meccanico, gli si presentassero in officina otto automobili differenti e gli si chiedesse di smontare e rimontare i motori in qualche ora, senza poter consultare un libretto d’istruzioni e senza possibilità di ricontrollare il lavoro. E, dulcis in fundo, lo si tacciasse d’incompetenza qualora il risultato fosse insoddisfacente.

Capitolo terzo. Buio in sala

Ora, a un quadro tutt’altro che confortante, occorre infine aggiungere i non trascurabili guai e disservizi che, con puntualità, si sono verificati su e giù per lo Stivale durante lo svolgimento delle prove scritte in modalità computer based. In diverse aule, sovente inadeguate, soffocanti e poco attrezzate, molti pc si sono spenti improvvisamente causa sovraccarico elettrico; molte tastiere, consumate dall’uso, sono risultate mal funzionanti durante la lunga digitazione e in alcuni casi, il mio per esempio, anche l’illuminazione della sala è risultata precaria. Insomma, ulteriori ostacoli per i già tartassati aspiranti: più che una prova concorsuale, in alcuni casi è stata una vera propria lotta per la sopravvivenza, un percorso insidioso degno dell’iniziazione dei giovani spartani all’epoca di Leonida.

Capitolo finale. Perché?

In conclusione, mi pare sensato porsi una serie di interrogativi e provare a ipotizzare una risposta, magari esaustiva per tutti.

Anzitutto una prima drammatica incoerenza: perché mettere alla prova le qualità didattiche di un docente attraverso una simulazione fittizia e poco pratica, una sorta di sofisma, quando è noto che una progettazione diventa efficace solo se adattata, nel corso del tempo, a una classe reale?

E ancora: perché valutare le abilità e insieme le competenze di un insegnante unicamente attraverso una valutazione docimologico-certificativa, senza tener conto della valutazione formativa e metacognitiva, resa invece obbligatoria per gli studenti?

Di più: perché, nel caso della prova di italiano, non riscontrare (in nessun quesito) la conoscenza della lingua italiana e delle sue strutture da parte del candidato, come per altro lamentato sia dall’Accademia della Crusca sia dall’Asli (Associazione per la storia della lingua italiana)?

Perché, dunque, e siamo al punto dolente, architettare una prova scritta così ostica, penalizzante e avvilente?

La risposta, purtroppo, non è scritta nel vento, come cantava il Menestrello del Minnesota, ma la si può riassumere attraverso le parole del celebre giornalista del «Corriere» Ernesto Galli della Loggia: «Più che un esame un tentativo di decimazione». Ecco. Si è voluto selezionare, giustamente. Ma è stato fatto in modo sconsiderato.

 

Fonte (Treccani.it)