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Dislessia, come si fa la diagnosi corretta: coinvolti il 3,5% dei bambini, molti non lo sanno

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Ma quali false diagnosi? Ma quale eccesso di medicalizzazione degli studenti? Oggi, grazie alle moderne tecniche di rilevazione della diagnosi di dislessia, gli spazi di errore sono davvero limitati.

A dirlo è Giuseppe Aquino, formatore tecnico AID, membro della Commissione Esecutiva del nuovo progetto di produzione di Linee Guida sui DSA, che si sofferma su come realizzare la diagnosi certificata di DSA, tenendo conto delle raccomandazioni cliniche fornite dalle Conferenze di Consenso.

Solo una volta accerta la diagnosi, infatti, l’alunno ha diritto di usufruire delle misure, anche dispensative, previste dalla Legge 170/2010 (che non hanno comunque nulla a che vedere con il sostegno agli alunni disabili).

Prima di tutto, spiega l’esperto, occorre verificare i possibili problemi di apprendimento nel periodo giusto.

LA RILEVAZIONE ALLA FINE DELLA SECONDA PRIMARIA

“La definizione della diagnosi – spiega – avviene in una fase successiva all’inizio del processo di apprendimento scolastico. E’ necessario, infatti, che sia terminato il normale processo di insegnamento delle abilità di lettura e scrittura (fine della seconda primaria) e di calcolo (fine della terza primaria) (C.C. I.S.S., 2010). Prima di questa età l’elevata variabilità interindividuale nei tempi di acquisizione delle suddette abilità non permette di utilizzare i valori normativi di riferimento con le stesse caratteristiche di attendibilità riscontrate a età superiori (Raccomandazioni per la pratica clinica DSA, 2009)”.

Detto questo, “poiché le abilità scolastiche sono distribuite lungo un continuum, non vi è una soglia naturale che può essere utilizzata per stabilire la presenza di un disturbo. Per una maggiore certezza diagnostica e per evitare il pericolo che la diagnosi possa essere inutilmente inflazionata, le raccomandazioni cliniche delle Consensus Conference hanno stabilito soglie più rigide rispetto ad altri paesi per poter considerare deficitaria una prestazione. Infatti può essere considerata insufficiente una performance che si colloca, per la rapidità, al di sotto di 2 deviazioni standard dai valori normativi attesi per l’età o la classe frequentata e al di sotto del 5° percentile per i punteggi di accuratezza”.

BASTA RISCHIO DI DIAGNOSI FACILI

Ne consegue che, “se la diagnosi viene eseguita secondo i criteri suddetti, non può esserci il rischio di diagnosi facili”.

Sulla rispondenza delle diagnosi, inoltre, garantiscono le raccomandazioni prodotte dalla Consensus Coference dell’Istituto Superiore di Sanità, “basate sui più aggiornati dati scientifici di prova adattati al contesto italiano secondo il giudizio di una giuria multidisciplinare, rappresentativa dei diversi possibili approcci e interessi al tema” (C.C. I.S.S., 2010). La diagnosi, quindi, viene effettuata da un team multiprofessionale (NPI, psicologo, logopedista) secondo precisi criteri diagnostici e, per evitare la rilevazione di falsi positivi, prevede l’utilizzo di test standardizzati, sia per misurare l’intelligenza generale, che l’abilità specifica”.

Detto questo, è un dato di fatto che il numero di bambini annoverati come Dsa per dislessia sia in sensibile aumento.

NESSUN SOVRADIMENSIONAMENTO, SOLO PIU’ ATTENZIONE

“La questione dislessia – dice ancora Aquino – può sembrare sovradimensionata. Sicuramente il numero di alunni con certificazione di Disturbi Specifici di Apprendimento, come rivelano i dati forniti dal MIUR, è in significativo incremento. Tra gli anni scolastici 2010/11 e 2014/2015 le certificazioni sono cresciute, ma questo accade anche perché dopo la legge 170 del 2010, la scuola ha un ruolo determinante nella presa in carico degli alunni con DSA e ad essa sono state richieste competenze organizzative, metodologiche, didattiche e valutative che hanno portato ad una maggiore attenzione nei confronti degli alunni con difficoltà di apprendimento e quindi ad una maggiore individuazione di casi sospetti di DSA e alla loro segnalazione alle famiglie con il conseguente riferimento ai servizi sanitari per avviare il percorso per una eventuale diagnosi (come indicato dall’Articolo 2 comma 1 del D.M. N. 5669 12/7/2011)”.

ANCORA ALTA LA PERCENTUALE DI “SOMMERSO”

Tuttavia, avverte ancora l’esperto, la percentuale è ben al di sotto di quelle che a volte circolano: “la percentuale degli alunni con diagnosi di DSA nella scuola italiana, come risulta oggi dai dati ufficiali del MIUR, non è del 18-20%, come qualcuno afferma, ma supera di poco il 2%, a fronte di una incidenza media che, secondo le indagini epidemiologiche (così come riportato dai dati scientifici nazionali e dalle Linee Guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità), si attesterebbe intorno al 3,5% dell’intera popolazione scolastica. Non ci troviamo, quindi, di fronte ad una sovrastima dei casi di dislessia, quanto, piuttosto, alla presenza ancora di una grande parte di sommerso, oltre l’1,5 per cento”.