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Festa della donna – in italia l’educazione è rosa: nelle scuole solo il 19% degli insegnanti maschi

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Studio dell’Anief sulla condizione femminile nell’istruzione pubblica.
La percentuale di donne dietro alla cattedra è destinata a crescere: tra gli iscritti ai corsi di formazione per abilitarsi nella scuola primaria e dell’infanzia ci sono corsi dove vi è un solo componente di sesso maschile ogni trenta donne. Continuando nella tradizione: oggi alla materna il 99,6% è rappresentato da maestre.
Già in tenera età i risultati scolastici sono migliori. Inoltre, abbandonano i banchi con meno frequenza, si diplomano con voti più alti e si laureano prima. Ma sul lavoro non hanno sconti: entrano di ruolo e vanno in pensione sempre più tardi.
 
C’è chi dice che curarsi della crescita culturale dei bambini e delle nuove generazioni sia principalmente un “affare” di donna, perché l’educazione è per definizione e tradizione un’attività tipicamente femminile. Mentre gli uomini se ne sono sempre preoccupati poco. C’è chi pensa che le buste paga degli insegnanti italiani siano incompatibili con le esigenze di un capofamiglia, per tradizione di sesso maschile. Per non parlare della mancanza di possibilità di fare “carriera” e del sempre più sbiadito prestigio sociale. C’è poi chi si dice convinto che i tempi della scuola, con i pomeriggi liberi, si addicono particolarmente al sesso femminile, per tradizione dedito alla famiglia. Fatto sta che quando si pensa ad un insegnante della scuola italiana il pensiero va ad una donna.
 
I numeri
A sostenerlo, del resto, sono anche i numeri: oggi il corpo docente italiano è per l’81,1% composto da donne. Una percentuale altissima: in Europa solo un Paese, l’Ungheria, conta una presenza maggiore di sesso femminile dietro la cattedra (82,5%). A livello di scuola d’infanzia, poi, tocchiamo un record mondiale: solamente lo 0,4% di maestri sono uomini. Una presenza che alle superiori si riduce sensibilmente, ma sfiorando il 60% costituisce sempre la grande maggioranza. Anche in questo caso si tratta di una caratteristica tipicamente italiana: basti pensare che in Germania le donne di ruolo impegnate nella scuola secondaria di secondo grado sono il 46,2%.
 
La scuola
La maggiore predisposizione delle donne verso la scuola sembrerebbe legata anche a fattori biologici. Che si manifestano già in tenera età. Con i risultati migliori, già nella scuola primaria, molto spesso ad appannaggio del sesso femminile. Se guardiamo ai dati sulla dispersione scolastica, il tema non cambia: nel 2012 l’Italia era ancora ferma al 17,6% di giovani usciti dal circuito formativo prima dei 16 anni; una quota decisamente lontana dal valore medio dell’indicatore nell’Ue27, che si attesta al 12,8 per cento. Però se si guarda al genere di alunni italiani che lascia i banchi prima del tempo, il quadro diventa ampiamente in attivo: tra i maschi sale infatti al 20,5%, mentre tra le femmine scende al 14,5% (non molto distante dalla media europea).
 
Il rapporto più felice tra donna e istruzione si evince, inoltre, dalle ultime risultanze Ocse: scorrendo i dati OECD (Education at a Glance 2013), emerge che in Italia i maschi diplomati della secondaria sono il 70% tra i 25-34enni (+25%), invece le femmine diplomate raggiungono il 75% nella stessa fascia di età (+35%). A quindici anni le femmine hanno competenze in lettura significativamente più alte dei maschi, mentre questi ottengono risultati migliori in matematica, ma di misura statisticamente non significativa. Le ragazze coltivano, inoltre, aspettative di lavoro più elevate dei maschi e si iscrivono ai corsi di istruzione universitaria più dei ragazzi.
 
Università e lavoro
E nell’istruzione terziaria le donne primeggiano sul totale della popolazione, con il 16% contro il 13% degli uomini, in sintonia con la media dei paesi Ocse (donne 33%, uomini 29%). Sempre dall’università giungono numeri eloquenti: le donne iscritte ad una Facoltà di studi italiana sono di più (56%), hanno ottenuto alla maturità un giudizio medio alto (87/100) e si laureano almeno un anno prima degli uomini. Tuttavia, il tasso di disoccupazione delle laureate rimane più alto, il 6,7%, contro il 4,1% dei maschi. Anche perché scegliendo in prevalenza corsi di studi umanistici, le donne hanno molte meno probabilità dei maschi di operare professionalmente in campi tecnologici o comunque economicamente più produttivi. In ogni caso, anche a parità di titolo di studio guadagnano meno degli uomini: in genere la differenza è de 10-20%, anche se non di rado raggiunge punte del 30-40%.
 
In ruolo sempre piu’ tardi
Per molte donne la scuola, dove non vi sono differenze di stipendio in base al genere, ha sempre rappresentato un’isola felice. Negli ultimi anni le cose però si stanno complicando. Il loro reclutamento è diventato sempre più lento: basta dire che tra il 2009 e il 2011 il numero degli insegnanti si è ridotto del 9% passando, da 843mila a 766mila unità. Un decremento che ha riguardato maggiormente i docenti precari, tagliati del 25%, mentre quelli di ruolo sono scesi del 6%. Così l’attesa prima dell’assunzione a tempo indeterminato si è sempre più allungata. Tanto è vero che oggi le nostre docenti con meno di 30 anni sono appena lo 0,5%, mentre inGermania la presenza di insegnanti under 30 si colloca al 3,6%, inAustria e Islanda al 6%, in Spagna al 6,8. Tanto è vero che qest’anno non sono mancati i casi di donne ultrasessantenni convocate per essere immesse in ruolo. E ormai complessivamente due insegnanti italiani su tre hanno almeno 50 anni.
 
La pensione si allontana

Per le donne che insegnano anche lasciare il lavoro, per accedere alla meritata pensione, è diventato un problema. Un vantaggio che però, a seguito dell’approvazione della riforma Fornero, sta venendo meno: dal 1° gennaio del 2012 l’età minima per accedere all’assegno di quiescenza è passato da 60 a 62 anni, da quest’anno servono 63 anni e 9 mesi. Mentre per quelle che non posseggono il requisito dell’età anagrafica, occorre un’anzianità contributiva di 41 anni e 6 mesi entro il 31 dicembre 2014. È quasi superfluo dire che si tratta di un’imposizione che fa arrivare le donne italiane alla pensione scontente e affaticate: sarebbe servita un’introduzione della legge più graduale e dando la possibilità alle docenti con oltre 20-25 di insegnamento alle spalle di diventare tutor dei nuovi colleghi, alleggerendole in questo modo dal peso dell’insegnamento tradizionale e fornendo un prezioso aiuto alle nuovi generazioni d’insegnanti. Sempre più rosa.