Home Politica scolastica Gramsci, il latino e le Linee guida di Valditara

Gramsci, il latino e le Linee guida di Valditara

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Parlando del ritorno del latino nella scuola secondaria di Primo grado, il ministro dell’Istruzione cita Antonio Gramsci, fondatore del Partito comunista d’Italia nel 1921 a Livorno, insieme con Togliatti e Terracini, e morto nel 1937, in una clinica romana, a seguito delle sofferenze subite nelle carceri fasciste dal 1926 al 1934 per essere stato un forte e lucido intellettuale, oppositore del regime di Mussolini.

In una anticipazione dell’intervista che ha rilasciato nel programma di Bruno Vespa, in onda questa sera, il ministro avrebbe lodato lo studio del latino che rappresenta molto più di un semplice esercizio linguistico. E per farlo cita Antonio Gramsci: “Il latino è la palestra della logica, della ragione, come diceva Antonio Gramsci insegna a imparare. È importante perché è alla base della nostra grammatica e poi studiarlo costa un minimo di fatica, abituiamo anche i ragazzi a non considerare tutto così semplice, così facile”.

L’introduzione del latino, secondo Valditara, punta allora a rafforzare competenze trasversali e logiche, recuperando un legame con le radici della nostra lingua e cultura.

Che in linea generale corrisponde, lo studio di questa lingua, alla realtà didattica e formativa per cui la scuola è stata progettata. Ciò che tuttavia non depone a favore del ministro sta nel fatto che il latino è già opzionale nella ex scuola media. 

In altri termini, chi se ne vuole avvalere, può fare richiesta alla dirigenza della scuola e in base alle disponibilità dei docenti e sentiti gli organi collegiali, nulla osta alla sua implementazione, ma in orario extracurricolare, come tutte gli altri insegnamenti che non rientrano nel monte ore stabilito. 

Una puntualizzazione che Valditara dovrebbe dire per evitare, a noi di scriverne e a lui di essere giudicato come ministro “dimentico”, nella accezione in cui si intratteneva Friedrich Nietzsche:”beati i dimentichi”. Nel peggiore dei casi, si aprirebbero due altre vie (che non hanno nulla a che fare con “Le vie nuove”, il giornale fondato dal comunista  Luigi Longo): una che porta a ritenere Valditara poco informato dell’attuale legislazione scolastica e l’altra che fa pensare, ben sapendo le superficialità della stampa, a una acquisizione di meriti che però in effetti non gli si dovrebbero accreditare. 

In ogni caso, il latino alla ex scuola media se si vuole, lo si può studiare, facendone richiesta e se la scuola lo fa rientrare nel proprio progetto formativo, anche in funzione del territorio. 

Dovrebbe invece dire Valditara, in mancanza di un preciso testo scritto, come verrebbe strutturato e cioè: se ci saranno ore aggiuntive nel curricolo, chi dovrebbe insegnalo e dunque quale classe di concorso è necessaria per farlo. Le modalità, insomma, o se rimane così come è oggi nell’ordinamento scolastico.

Citare Gramsci fra l’altro, sembra un paradosso, considerato che nei testi in cui ne parla, i “Quaderni dal carcere”, nella sezione relativa alla “Organizzazione della cultura” il pensatore comunista si riferiva a una scuola ancora non di massa e comunque procacciava l’idea che la cultura, e dunque non solo il latino, fosse indispensabile alla Classe operaia per raggiungere il potere detenuto dai capitalisti. 

Una visione sociale e politica non in perfetta linea col ministro che lanciando questo tipo di proposta, il latino opzionale, sembra favorire ancora le classi più forti economicamente e culturalmente, proprio perché possono permettersi non solo più strumenti di verifica a casa ma anche un controllo più accurato, condizione che la “classe operaia”, di gramsciana memoria, e i meno abbienti non possono sfruttare e per oggettivo, evidente motivo.

Dice Gramsci in “Letteratura e vita nazionale”: “in realtà, si esclude dall’apprendimento della lingua colta la massa popolare nazionale, poiché il ceto dirigente piú alto, che tradizionalmente parla in «lingua», trasmette di generazione in generazione, attraverso un processo lento che incomincia coi primi balbettamenti del bambino sotto la guida dei genitori, e continua nella conversazione (coi suoi «si dice cosí», «deve dirsi cosí», ecc.) per tutta la vita: in realtà si studia «sempre» (con l’imitazione dei modelli ammirati, ecc.)”.

Ma non solo, scrive fra l’altro: “Nella scuola moderna mi pare stia avvenendo un processo di progressiva degenerazione: la scuola di tipo professionale, cioè preoccupata di un immediato interesse pratico, prende il sopravvento sulla scuola “formativa” immediatamente disinteressata”.

La scuola “formativa” nel senso che forma l’Uomo completo, l’Uomo Leonardo, e non quella che cerca invece di mettere sul mercato manodopera specializzata da mandare in fabbrica, sappia o no il latino.