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I test Invalsi? Migliorano la scuola!

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“Ai test non bisogna chiedere più di quello che possono dare. L’apprendimento è un processo complesso, è fuori dal mondo l’idea di racchiuderlo dentro poche domande. Ma rinunciare ai test significa fare come quel malato che butta via il termometro per non sapere se ha la febbre oppure no. Una follia”.
Piero Cipollone, oggi direttore esecutivo della Banca mondiale, parla senza remore dei test Invalsi e di scuola, a cominciare pure dagli ispettori che sono “fondamentali. Potrebbero essere quelli che aiutano le scuole a interpretare i risultati dei test che vengono restituiti alle scuole a settembre e, quindi, possono essere usati per impostare la didattica a inizio anno”. Per questo, dice l’ex presidente dell’Invalsi, occorre che il nuovo presidente sia “una persona fuori da ogni approccio ideologico, che capisca di dati e misurazione. Ma che allo stesso tempo abbia una grande sensibilità con le scuole, per far capire che bisogna lavorare tutti insieme, non l’uno contro l’altro, per migliorare il livello dell’insegnamento”.
“Nessuno docente è bravo o asino in assoluto ma ciascuno di noi ha i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza. I test servono proprio ad individuare gli uni e gli altri per consentire agli insegnanti di concentrare gli sforzi dove c’è più bisogno.”
E non è vero, secondo Cipollone, che i migliori insegnanti poi abbiano anche un riconoscimento economico: “un insegnante lavorerebbe meglio in cambio di 50 euro in più al mese? E non c’è il rischio che quel “meglio” si traduca poi in un’attività di “addestramento” ai test, per migliorare le risposte degli studenti ma non il loro livello di apprendimento?”.
È vero tuttavia che “i correttivi sono sempre possibili ma, a livello internazionale, la tendenza è chiara. Non basta portare i bambini in classe, bisogna migliorare il livello della scuola”. E infatti, dice Cipollone, “l’Onu dovrebbe definire a settembre un indicatore di qualità delle scuola da misurare proprio con dei test standard, come quelli Invalsi che si fanno in Italia, come quelli Pisa che si usano nei Paesi Ocse. Il mondo va in questa direzione. Non possiamo andare contromano”. Perché se così si facesse “getteremmo via il termometro per non sapere se abbiamo la febbre oppure no. Oggi i professori danno ai loro studenti gli stessi voti al Nord come al Sud: abbiamo le stesse percentuali di 5, le stesse percentuali di 6, di 7 e così via. Ma proprio grazie ai test standard sappiamo che, in realtà, il livello delle scuole del Nord è in media più alto di quelle del Sud. Quasi 100 punti in più che, sempre in media, vogliono dire una differenza del 2% nel tasso di crescita del reddito pro capite. Preferiamo far finta che questa differenza non esista? Oppure ne prendiamo atto, proviamo a ridurla e la controlliamo anno dopo anno?”