Home Personale Insegnare crea sfasamento, i docenti vanno aiutati con piani d’affiancamento e ‘decompressione’

Insegnare crea sfasamento, i docenti vanno aiutati con piani d’affiancamento e ‘decompressione’

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I docenti dopo decenni di lavoro sono “sfasati” e sottoposti a burnout: occorrono misure per aiutarli, magari proponendo loro dei piani di sostituzione e “decompressione” oppure periodi di sospensione dall’insegnamento. A dirlo è stato il procuratore capo di Isernia, Carlo Fucci, a margine della conferenza stampa allestita il 18 gennaio a seguito dell’inchiesta avviata sui maltrattamenti ai bambini scoperti in una scuola di Venafro, in provincia di Isernia e la decisione di sospendere dall’esercizio dell’insegnamento due maestre di 49 e 58 anni, che lavorano in una scuola dell’infanzia statale della provincia di Isernia.

L’ordinanza è stata eseguita dalla polizia di Isernia, a seguito di indagini svolte dalla Squadra Mobile con intercettazioni audio e video che hanno riscontrato i maltrattamenti denunciati da alcune madri. Quest’ultimo caso è il terzo in pochi giorni: viene dopo la sospensione di due maestre a Cassino il 10 gennaio e le botte e gli insulti ai bambini in una materna dei Castelli Romani l’8 gennaio scorso.

Riqualificare e “decomprimere”

Secondo il procuratore non c’è tempo da perdere: bisogna pensare alla “riqualificazione del personale e a piani di “decompressione”, perché il rapporto con i bambini può creare problemi alle insegnanti”.

“Il rapporto con i bambini di quell’età – ha detto all’Ansa il dottor Carlo Fucci – richiede una preparazione che non può essere affidata soltanto alla capacità della ‘buona madre di famiglia’, serve altro e questo è ormai un dato certo. Una questione che va affrontata, probabilmente, a livello nazionale”.

Il procuratore di Isernia è quindi entrato nel problema: “È comprensibile che, occuparsi ogni giorno di venti bambini con esigenze diverse, può creare momenti di ‘sfasamento’ dell’insegnante. Forse servono più maestre, occorre prevedere interruzioni nel rapporto: ma questo rientra nelle competenze della pubblica istruzione”.

Le telecamere solo come deterrente

E quello delle telecamere a scuola può essere adottato come deterrente, ma non va considerato, sostiene il procurato, come la soluzione al problema: “Si può anche parlare di telecamere, che naturalmente necessita di un intervento normativo, ma è necessaria una maggiore prevenzione. Quando interveniamo lo facciamo su un dato patologico, quindi c’è repressione che al contempo ha una finalità preventiva. Un fenomeno che non può essere eliminato a livello generale, ma può essere ridotto di molto”.

Inoltre, aggiungiamo noi, le immagini delle telecamere possono a volte essere interpretate in cattivo modo: anche per la loro “traduzione” serverebbe, quindi, personale qualificato.

Episodi in crescita

Il problema, in ogni caso, va affrontato. Siamo di fronte a denunce di violenze in crescita, addirittura raddoppiate in un solo anno. Tanto che il Governo sta pensando seriamente di introdurre le telecamere in tutte le classi delle scuole dell’infanzia: “Il mio obiettivo – ha continuato Salvini – è portare a casa la legge per mettere le telecamere negli asili, nei nidi, nelle case di riposo e negli istituti per disabili”: perché “bisogna tutelare il lavoro eroico, onesto e pulito di milioni di maestre, maestri, educatori, infermieri, operatori sociosanitari”, ha detto il vicepremier Matteo Salvini ad inizio 2019.