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L’Ocse non fa sconti: modello Italia da rivedere. Gelmini gongola

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Le anticipazioni sembravano catastrofiche. Invece il peggio doveva ancora arrivare. Non hanno fatto sconti i tecnici dell’Ocse presenti il 17 giugno al ministero dell’Istruzione per presentare la nuova indagine internazionale sul comparto della scuola, la Teaching and Learning International Survey (Talis), sulla base di una serie di quesiti sottoposti a 70.000 tra docenti e presidi di scuole di 23 paesi.
Alla luce dei deludenti risultati ottenuti della rilevazione, gli esperti hanno così puntato l’indice su tutti i limiti dei nostri istituti scolastici e delle leggi che le governano. Il risultato è quello che conosciamo, ma che visto dal di fuori sembra avere un altro effetto: classi in molti casi ancora poche numerose, un numero complessivi di docenti elevato, ore di insegnamento eccessive, nessuna apertura al merito, permangono forti squilibri regionali e ancora pochi spazi decisionali ai presidi. Il paradosso, sostiene l’Ocse, è che le scuole italiane spendono per ciascun studente molto di più degli altri Paesi. Però i rendimenti in termini di apprendimento da parte degli studenti risultano a fine anno tra i più scarsi.
Tutto questo accade a causa di diverse peculiarità negative, sempre secondo l’organismo parigino, tipiche del nostro paese. Ad iniziare dalle troppe classi poco numerose e alle tante ore di insegnamento rivolte agli studenti.
Quello che inciderebbe molto sui costi della scuola italiana è però soprattutto l’alto numero di insegnanti in servizio negli oltre 10mila istituti sparsi per il territorio nazionale: il rapporto insegnate-studente nell’area Ocse è di 6,5 docenti ogni 100 allievi, mentre nel nostro Paese raggiunge quota 9,6.
Uno degli elementi che peserebbe ancora di più negativamente selle performance della scuola italiana è quello della mancata meritocrazia: rispetto agli paesi europei da noi l’avanzamento di carriera avviene solo per anzianità. La motivazione principale per fare l’insegnante in Italia sembrerebbe essere soltanto l’elevata sicurezza del posto di lavoro.
I docenti italiani troverebbero così le loro maggiori motivazioni professionali nel riuscire a collocarsi in istituti vicini alla propria residenza: tanto è vero circa la metà degli insegnanti si sposta ogni anno da un istituto all’altro.
Nel suo rapporto generale sull’Italia l’ente parigino ricorda che sulla scuola il paese sta affrontando “cambiamenti rilevanti”, dopo gli annunci del governo di razionalizzare le spese, rafforzare i sistemi di valutazioni e stabilire nuovi meccanismi su assunzioni e valutazioni degli insegnati. Ma queste misure dovranno accompagnarsi a maggiore autonomia degli istituti.
Per l’Ocse sarebbe quindi determinante, in positivo, introdurre sistemi di misurazione delle performance a vari livelli, “in particolare sui presidi e sugli amministratori di bilancio, ma anche sugli insegnanti, in modo che coloro che responsabili delle assunzioni – si legge sempre nel rapporto – dispongano di informazioni appropriate per valutarne i risultati e decidere incentivi”. Tuttavia “se i presidi devono essere responsabili, devono anche disporre dell’autonomia necessaria sulla gestione degli istituti, all’opposto della scarsa autonomia in vigore attualmente”, conclude l’Ocse.
La strada ideale da percorrere sarebbe allora quella di puntare sin da subito sulla meritocrazia: darebbe insomma uno ‘scossone’ al sistema italiano, avvicinandolo ai modelli più virtuosi. Rispetto agli altri Paesi europei in Italia l’avanzamento di carriera avviene ancora solo per anzianità e la motivazione principale per sedere dietro la cattedra sarebbe solo l’elevata sicurezza del posto di lavoro.
Per il ministro Gelmini non vi sono dubbi: “il rapporto Ocse dà clamorosamente ragione al governo sulla politica scolastica adottata in Italia. I risultati dell’indagine sono in piena sintonia con le riforme in atto e ci danno conforto ad andare avanti: il Governo deve proseguire con le riforme che sono indispensabili per migliorare la scuola in questo paese. Non basta e non è utile difendere la scuola così com’è oggi”. Per Gelmini stato giuridico dei docenti e riforma della governance per dare maggiore potere decisionale ai dirigenti “sono due riforme che vogliamo assolutamente portare avanti. Anche la rimodulazione degli organici era necessaria, perchè la spesa ha raggiunto livelli altissimi”.
Gelmini si è rivolto anche all’opposizione: “già ci sono tanti professori e dirigenti che comprendono come la scuola italiana così come è oggi non funziona ed ora mi auguro che anche la sinistra voglia collaborare attivamente in questo progetto. Che comunque – ha tenuto a sottolineare il ministro – noi continueremo”.
L’Ocse insiste giustamente sul merito perchè in Italia, ha sottolineato ancora il ministro, “occorre incentivare gli insegnanti a fare meglio e indirizzare le risorse sulla qualità. Nella Finanziaria il 30% dei risparmi sono stati indirizzati non a pioggia ma in base al merito, mentre oggi c’è sfiducia nella scuola perchè il modello organizzativo non invita a fare passi avanti. Serve attuare una scuola realmente meritocratica e la revisione degli istituti e dei licei va in questo senso intendendo migliorare e ammodernare la scuola superiore”.
Critici, con il ministro, i sindacati della scuola. “L’indagine dovrebbe far riflettere il governo sulle conseguenze disastrose di politiche, in materia di istruzione, fatte solo di tagli”, ha detto il segretario della Flc-Cgil Domenico Pantaleo. Secondo Francesco Scrima, leader Cisl Scuola il dati contenuti nel rapporto “rafforzano la convinzione che occorre fare di più per una crescita di qualità del nostro sistema di istruzione”, ma “sui temi della valutazione, della qualità e del merito va evitata la tentazione di risposte sbrigative e improvvisate, dettate da prevalenti ragioni ‘mediatiche’ e di immagine. Inutile e stonata risulta la sottolineatura polemica con cui il ministro legge nei dati una generica ‘sconfessione’ delle posizioni sindacali”.
Amaro anche il giudizio di Massimo Di Menna, segretario Uil Scuola: “da tempo anche noi puntiamo su un sistema di valutazione, che è utile se è trasparente, ma il Governo non l’ha realizzato. Gli strumenti ci sono, il problema è la volontà politica di realizzarli: l’obiettivo dell’Ocse di dare serietà alla scuola e merito è pienamente condiviso, ma questo con gradualità si deve realizzare”.
Più tecnico il commento della Gilda: “Bisogna considerare – ha detto il coordinatore Di Meglio – che in Italia le spese per i docenti di sostegno, diversamente da quanto avviene negli altri Paesi europei, sono a carico del ministero dell’Istruzione, così come i costi relativi agli insegnanti di religione. Inoltre non va dimenticato che il livello di qualità di un sistema scolastico va valutato anche in base alle condizioni di partenza: in Italia – ricorda il sindacalista – 50 anni fa c’erano ancora persone analfabete e se oggi non ci sono più, lo si deve al grande lavoro svolto dalla scuola e dai docenti italiani”. Perplessità sono giunta anche dall’opposizione: la replica è stata affidata a Mariangela Bastico, responsabile Scuola del Partito democratico, la quale si è detta aperta al dialogo, ma senza concedere troppe chance per una soluzione condivisa. “Il trionfalismo del ministro Gelmini – ha detto Bastico – è del tutto fuori luogo e infondato. L’Ocse consegna una situazione allarmante della scuola italiana: gli studenti hanno livelli di apprendimento troppo bassi e molto differenziati da regione a regione; gli abbandoni scolastici sono molto elevati; i docenti e le scuole operano senza adeguate risorse e riconoscimenti del merito. Perché la Gelmini gioisca di tutto ciò è un mistero. A meno che il suo disegno non sia un semplice ritorno al passato e un indebolimento della scuola pubblica a vantaggio di quella privata”.