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La didattica a distanza… sulla distanza

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Dopo due mesi e mezzo di Didattica a Distanza, con l’approssimarsi della fine dell’anno scolastico, l’allentamento delle misure d’emergenza, e la crescente preoccupazione per l’avvio del nuovo anno scolastico, emergono nuove percezioni collettive, in un percorso che vede di settimana in settimana modificarsi il vissuto e la sua elaborazione.

E’ forse interessante tracciare una mappa delle posizioni prevalenti sugli effetti di questa “sospensione del tempo scolastico ordinario”, che naturalmente andrebbero correlate alle diverse posizioni emerse sugli effetti più generali della crisi e sulle sue drammatiche implicazioni economiche e sociali.

Possiamo catalogare queste posizioni in quattro grandi tipologie: i Nettamente Favorevoli (NF), i Cautamente Favorevoli (CF), i Moderatamente Critici (MC), i Nettamente Ostili (NO).

I Nettamente Favorevoli mi sembrano in un trend costante di diminuzione. Tra i loro argomenti, è di un certo interesse quello che sottolinea come, da questa crisi, si possa ricavare almeno un elemento positivo, e cioè il rinnovamento metodologico della didattica, e una maggiore apertura della scuola al digitale. Un’acquisizione di più diffuse competenze digitali, specie in un corpo docenti tra i più anziani del mondo, è sicuramente un dato positivo, ma al tempo stesso occorre a mio avviso mettere in guardia contro gli eccessi di questi NF, troppo inclini a decantare le magnifiche sorti e progressive di un mondo sempre più digitalizzato, con la scuola sempre alla rincorsa delle ultime novità in tema di app o di giochini didattici. Mi pare che sia ancora insuperato il contributo di qualche anno fa di Roberto Casati, che nel suo Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere (2013) ammoniva con dovizia di argomenti proprio contro questi facili e acritici entusiasmi. In altre parole, ben venga il digitale, purché siamo noi a governarlo e a decidere come utilizzarlo, e non il contrario!

Un altro argomento significativo dei NF è quello secondo cui la DaD starebbe favorendo forme nuove e positive di interazione tra docenti e alunni, facendoli sentire entrambi parte di una comunità in cammino, diminuendo la distanza tra i ruoli, favorendo la comunicazione e superando i logori stereotipi dei docenti come verificatori e valutatori (tendenza, quest’ultima, che si è andata accentuando negli anni, in cui la scuola è stata spesso vissuta come un nevrotico “verifichificio”, a scapito di una dimensione più serena e disinteressata di luogo di apprendimento, e di costruzione cooperativa di un sapere condiviso e non solo unilateralmente trasmesso).

Tra gli argomenti dei Cautamente Favorevoli, che riprendono ma in forma meno entusiastica le posizioni dei NF, è importante quello che mette in luce come la DaD, perlomeno in questa sua prima fase di attuazione, presenta ancora molte criticità, in particolare nel suo non essere equamente distribuita a livello territoriale e ancor più a livello sociale: effettivamente, non in tutte le zone del territorio nazionale, e non in tutte le famiglie, si ha un’adeguata disponibilità di strumenti tecnologici e di connettività.
Spesso i CF sottolineano come la DaD abbia degli indubbi meriti, specialmente legati a questa fase di emergenza, ma non possa essere acriticamente pensata come una dimensione preponderante delle future rimodulazioni dell’organizzazione scolastica.

Un’altra considerazione degna di nota dei CF è che non è pensabile una scuola che non tenga conto delle nuove modalità di comunicazione sociale che si sono ormai imposte, piaccia o non piaccia, come prevalenti. Non che la scuola debba essere al rimorchio dei social e delle mode da essi dettate, ma lascia perlomeno perplessi una scuola che ignori del tutto queste dinamiche di apprendimento e di costruzione dell’opinione pubblica, tanto più rispetto a generazioni che in queste dinamiche sono cresciute e che tendono a considerarle ovvie, naturali. Si tratterebbe quindi, in questa prospettiva, di trovare un opportuno dosaggio tra queste dinamiche e quelle più tradizionali di lenta e paziente costruzione del sapere attraverso lo studio e la formazione di una propria mappa di riferimenti.

In forte crescita, in queste ultime settimane, sembrano i Moderatamente Critici, che rilevano ad esempio, oltre ai limiti suddetti della DaD, anche quello di essere obiettivamente, e specialmente sulle lunghe distanze, fonte di stress, di alienazione, di aumento della solitudine, e quindi anche di aggravamento delle differenze in termini di opportunità di crescita culturale. Paradossalmente, ma forse neanche tanto, se la DaD ha contribuito all’inizio a far sì che gli studenti non si sentissero abbandonati dalla scuola e dai docenti, a lungo andare riproduce e aggrava differenze di accesso, e non permette strategie di recupero e di inclusione, tanto più marcate e preoccupanti se pensiamo agli alunni delle scuole primarie o a quelli BES.

I MC mettono talvolta in luce che la DaD da un lato può favorire lo sviluppo di nuove abilità (cognitive e tecnologiche) tra gli studenti , ma d’altro lato, e di norma in misura assai più consistente, aggrava la dipendenza dagli schermi, non solo nociva sul piano della salute, ma anche deleteria nel volatilizzare i contenuti dell’apprendimento, che tendono a non essere più inseriti in mappe stabili e interiorizzate di riferimenti culturali e finanche etici (tendenza, peraltro, che va molto oltre i confini della scuola).

Un’altra obiezione assai rilevante dei MC è rivolta non specificamente alla DaD, ma a tutta questa importanza, per non dire esclusività, che assume la comunicazione a distanza anche sul piano delle relazioni tra gli esseri umani, nonché nelle procedure di decisione democratica: pensiamo ai molti limiti delle riunioni (es. organi collegiali) svolte in video, sia perché rappresentano un ulteriore investimento di tempo speso davanti ad uno schermo, sia perché non rendono certo più agevole e più trasparente la discussione e l’adozione di scelte realmente condivise, e rafforzano semmai il potere di chi “dirige il traffico”.

Ecco allora sorgere sempre più spesso, da insegnanti ma anche da studenti, il nostalgico appello al ritorno ad una scuola fatta anche di presenza reale, di un’interazione di gesti e di corpi e di emozioni, in cui risiede un aspetto non secondario della crescita e della maturazione. Una scuola fatta anche di successi e di insuccessi, perché anche le delusioni e le ombre aiutano a crescere, a sviluppare un’identità non solo virtuale, non solo consistente in un dialogo “finto” e comunque parziale con uno schermo. Da ultimi, il bellissimo, a tratti perfino lirico, articolo di Alberto Asor Rosa “Scuola, elogio della classe” su Repubblica del 7 maggio, o l’appello di 16 grandi nomi della cultura italiana su La Stampa del 18 maggio. Potremmo definire queste posizioni come un’istanza di “ecologia della mente”.

E in crescita sembrano anche i Nettamente Ostili, che riprendono le argomentazioni dei MC, aggiungendo semmai considerazioni, certo non infondate, di ordine sociale e sindacale, e sottolineando quindi il carattere non democratico e non inclusivo della DaD, il suo non essere “vera didattica”, nell’auspicio che questa fase di emergenza non rappresenti il grimaldello per spregiudicate operazioni tendenti a introdurre sostanziali cambiamenti nell’organizzazione scolastica complessiva e a porre la scuola sotto l’egida dei colossi di Internet, Google in testa.

Efficace, ad esempio, la parola d’ordine che questa Didattica a Distanza dovrebbe essere più correttamente chiamata Didattica d’Emergenza, nella convinzione che soltanto una fase come quella attuale possa giustificare il ricorso a queste modalità didattiche prive di un credibile riscontro.

Può talvolta essere difficile scorporare da queste legittime preoccupazioni, quando non veri e propri segnali d’allarme, dei NO, la tendenza a una chiusura preconcetta verso l’innovazione, oppure una propensione nostalgica verso una scuola del passato idealizzata. Ed è un peccato che l’esigenza di un ripensamento strategico dell’intero assetto della scuola, e in primis dei suoi scopi fondativi, venga posta sotto la spinta dell’emergenza e delle considerazioni spesso troppo emotive, troppo centrate sulla dimensione psicologico-affettiva, che essa suscita.

Probabilmente i prossimi mesi, di preparazione ad un problematico avvio del nuovo anno scolastico, saranno decisivi per un’impostazione realmente costruttiva delle questioni sul tappeto, a partire dall’esigenza, che si spera largamente condivisa, di puntare su un rilancio degli investimenti nella scuola pubblica, dopo anni e anni di miopi tagli.

Ma tutto questo, naturalmente, va posto in relazione alla situazione sanitaria, e soprattutto in relazione all’andamento complessivo dell’economia e della società del nostro Paese. Quel che mi sembra ineludibile, in ogni caso (e ovviamente nella speranza che l’emergenza venga al più presto superata, anche perché riforme dettate dall’emergenza non sono mai auspicabili), è una riflessione ampia e condivisa su come deve cambiare la scuola. Non per aspettare riforme epocali che nessuno ormai più si aspetta, ma per trovare un equilibrio fra tradizione (che non è solo un peso morto) e innovazione (che non è solo il digitale, e non è una parola magica che giustifica qualunque novità). E le esigenze che mi sembrano prioritarie sono due: una riflessione su quale spazio deve avere il digitale non solo nella scuola, ma nella nostra vita sociale, e il recupero di una dimensione non solo valutativa e prestazionale della scuola, in cui alle verifiche e ai voti devono subentrare, come principi di base, l’educazione alla curiosità culturale, alla cooperazione e al confronto critico delle opinioni, e quindi la formazione di cittadini adulti e consapevoli.

Rodrigo Catalani