Home Personale Metto la maschera e vado a lavorare

Metto la maschera e vado a lavorare

CONDIVIDI

«Arrivare da solo alle feste di fine anno scolastico come se fossi single» costretto a indossare una maschera fatta di scuse, bugie e sorrisini di fronte alle facce che «ti osservano e chiedono tutte le volte: ma come mai, un bel ragazzo come te, ancora single?». In realtà questo ragazzo alto, bruno e gli occhi scuri che chiameremo Luca, 34 anni, da 7 insegnante di tecnologia in una scuola paritaria cattolica di Roma, single non lo è da un pezzo.
Con lui vive sotto lo stesso tetto da più di tre anni il suo compagno Andrea, cuoco di un ristorante vegetariano del quartiere Parioli. Ma le suore questo non devono saperlo.
«Quando mi hanno assunto, oltre al contratto a tempo indeterminato mi hanno fatto firmare un foglio in cui mi chiedevano di condividere il loro progetto educativo basato su valori cattolici. Non si scendeva nel particolare ovvio, ma il riferimento era chiaro».
“Ogni anno i miei studenti fanno degli incontri con le autorità ecclesiastiche in alcune giornate dedicate alla catechesi e io resto sbigottito di fronte a quello che le mie orecchie sono costrette a sentire. Puntualmente in queste occasioni, quando l’argomento di dibattito vira sull’orientamento sessuale, sento parlare di omosessualità come una malattia. ‘I gay devono provare a curarsi o praticare l’astinenza’ ha detto un alto prelato a questi ragazzi più di una volta. Al secondo anno consecutivo che sentivo queste idiozie sono andato nell’ufficio della vicepreside: queste affermazioni sono poco educative e devianti per gli studenti». E lei? «E la madre superiora mi ha dato ragione».

«È una discriminazione inconcepibile – commenta Luca, riconoscendo che un problema, nelle scuole paritarie c’è eccome -. Un mio collega gay di un’altra scuola paritaria la vive davvero male. Io gli ripeto sempre che la dottrina cattolica non ammette neanche convivenza, divorzio: che fanno, licenziano tutti i professori separati o conviventi?».

“I miei colleghi sanno di me, conoscono il mio compagno, andiamo a cena insieme, si scherza e si ride ma con le suore vige una regola molto precisa: occhio non vede e cuore non duole. Loro non sanno o se sanno fanno finta di niente. Io da parte mia non provo neanche rancore o mortificazione. Solo rabbia per questa maschera che sono costretto a portare tutti i giorni e che non mi fa essere me stesso al cento per cento. L’atmosfera nella mia scuola è diversa da quella di Trento, ma chi mi dice che quello che è successo lì non possa ripetersi?”.
«Quando sono a scuola e nel parlare di cose quotidiane che mi accadono nella vita di tutti i giorni mi scappa un ‘noi’, mi fermo e ricomincio. Faccio un respiro profondo, penso ad Andrea e fantastico su una futura cena di fine anno scolastico finalmente accompagnato da lui. Ti immagini la faccia delle suore?»