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Perché non fare la chiamata diretta dei presidi?

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La “cultura dei risultati” potrebbe essere declinata in forma diversa, cioè secondo una visione comunitaria, della comunità scolastica cioè, e non più verticistica?

Su Il Sussidiario.net un interessante intervento sulla funzione e il reclutamento del dirigente scolastico, più burocrate ormai che guida e proponitore di cultura e di didattica, mentre il Ministero continua a mantenere la sua funzione centralistica, lasciando poco spazio all’autonomia.

La soluzione potrebbe essere semplice, spiega l’intervento sul Sussidiario: adottare anche per i presidi lo schema della “chiamata” prevista oggi per i nuovi docenti. Nel senso che i presidi — alla fine del loro contratto triennale — sarebbero tenuti a candidarsi: sulla base di una valutazione di merito sul triennio appena concluso, di un cv dinamico (non solamente la “lista della spesa” prevista dall’europass) e, soprattutto, di un colloquio (con un ispettore dell’Usr e con rappresentanti del consiglio di istituto della scuola prescelta).

Tutti, in poche parole, dovrebbero essere un po’ “misurati” prima di un incarico, vista la delicatezza del ruolo. Anche con un test, come richiesto da Galimberti, psico-attitudinale. E chi non trovasse la scuola? Potrebbe, nei casi estremi, essere retrocesso a docente.

 

 

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So che sarebbe un po’ farraginoso, il tutto. Ma perché non sperimentare in qualche regione questa novità? Questo richiederebbe, lo sappiamo, la mitica, sempre tentata e mai conclusa, riforma degli organi collegiali. Ma una via sperimentale è sempre possibile, a legislazione vigente.

La crisi di tante scuole, come l’eccellenza di tante altre, deriva, lo sappiamo (anche e non solo) dal ruolo più o meno attivo, propositivo, culturalmente sostenuto, dei propri dirigenti scolastici. I quali riescono in questo loro compito perché, al di là delle competenze burocratiche, sanno o meno valorizzare quelle competenze soft (soft skills) che sono essenziali oggi in tutto il mondo del lavoro. Ancor più in un contesto segnato fortemente dall’etica della solidarietà, vista la diversità qualitativa delle scuole rispetto a qualsiasi azienda o mondo professionale.

Il vero timbro qualitativo di una scuola infatti è tutto nella sua capacità di farsi scuola di una comunità locale, non mera emanazione o espressione periferica del potere centrale. Qual è il “valore aggiunto” di tutto noi, all’interno delle nostre scuole? Perché non prevedere, per chiudere, un voto od una volontà del proprio consiglio di istituto, ai fini di una chiamata, o di una conferma o meno in una scuola come preside?