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Registro elettronico: utile davvero? Migliora, potenzia o limita concentrazione e responsabilizzazione degli alunni?

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Com’è noto, un anno fa la Scuola Media “Barsanti” di Firenze ha sospeso l’utilizzo del registro elettronico per l’assegnazione dei compiti a casa. Caso unico in Italia, ove come sempre fa notizia l’essere controcorrente: soprattutto per una categoria di professionisti come i docenti che — pur godendo di prerogative decisionali autonome in linea con la libertà di insegnamento e di organizzazione della didattica — nell’ultimo decennio ha praticamente smesso di opporsi a qualsiasi provvedimento venisse calato dall’alto sulla Scuola.

Di fatto, nemmeno in questo caso la decisione proviene dal Collegio dei Docenti, ma dal Consiglio d’Istituto, con la motivazione di render gli alunni meno dipendenti dallo smartphone almeno nello svolgimento dei compiti e nello studio. Decisione di spessore, visto che il rapporto dei giovanissimi col “device” è ormai simbiotico, ed interferisce negativamente con la capacità di concentrazione, di apprendimento, e quindi di maturazione e di crescita.

La tecnologia aiuta chi cresce? o solo chi è già cresciuto?

Effettivamente col registro elettronico gli studenti hanno smesso definitivamente di utilizzare carta e penna per l’organizzazione del proprio lavoro scolastico. Ciò dovrebbe spingere tutte le persone adulte (non solo docenti, presidi e genitori) a domandarsi se la tecnologia abbia un effetto realmente positivo su menti — come quelle dei ragazzi — ancora in formazione, prive come sono di una preparazione culturale tale da permetter loro di usare la tecnologia senza esserne usati.

Sempre più dipendenti da Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft

Altra domanda che bisognerebbe porsi: è giusto e corretto (e utile) che il discente sia dipendente dalle multinazionali della telematica persino per sapere quali compiti svolgere? E, tra le varie “competenze” desiderabili per l’apprendimento (come quella di saper usare la tecnologia), non è importante anche quella di organizzarsi i compiti, e di avvertire la conseguente responsabilità di questa organizzazione? Non sarebbe forse più utile togliere ai discenti un altro valido motivo per guardare fissi i propri cellulari? Canada, Stati Uniti e Svezia stanno gradatamente tornando alla scrittura manuale e in corsivo: per quale arcano motivo noi, invece, nel Paese in cui la civiltà occidentale è nata, perseguiamo proprio la strada opposta?

La scrittura a penna impegna (e fa crescere) cervello, nervi, sensi

La scrittura a mano obbliga il sistema motorio a collaborare col sistema nervoso e con quello sensoriale. La digitazione al computer, invece, non stimola le vaste aree del cervello che vengono coinvolte nella scrittura manuale con la penna. Questo ci dicono gli studi. Infatti, per scrivere con carta e penna, occorre tener deste l’immaginazione e l’intuizione, la creatività mentale e l’astrazione; sviluppare e organizzare ricordi e informazioni; mettersi nei panni di chi legge, onde permettergli di capire quanto si va scrivendo. Capacità e competenze che la scrittura digitale non sviluppa, se non in grado molto minore, e soltanto se si è prima passati per l’apprendimento della scrittura manuale.

Disgrafici al computer: ovvero come togliere la sete col prosciutto

Si sta rivelando contraddittoria e fallace persino la prassi di “aiutare” dislessici e disgrafici facendoli digitare sul computer, visto che il loro disturbo è spesso correlato all’uso del digitale fin dai primi mesi di vita. Una prassi errata, come lo sarebbe quella di curare l’ipertensione con una dieta a base di alimenti conservati, carni salate, formaggi stagionati, insaccati, patatine e pesce in salamoia.

Molto più proficuo sarebbe tornare ad abituare i discenti a stare attenti e a tener desta l’attenzione sulla voce dell’insegnante che sta dettando i compiti. Proprio l’attenzione dei ragazzi è ormai talmente labile, infatti, che spesso, mentre il docente parla nel vano tentativo di coinvolgerli, sembrano dormire ad occhi aperti, e non si accorgono nemmeno di non aver capito nulla. Inutile mostrar loro film o documentari spettacolari sugli argomenti di studio: sono talmente saturi di immagini elettroniche, che preferiscono contemplare i propri piedi.

La Scuola deve fare quel che fanno tutti? O quel che è utile a tutti?

Una Scuola che seguisse le mode o il buon senso comune, venendo meno al proprio compito di svegliare le coscienze, si renderebbe complice di un delitto gravissimo: la collaborazione alla distruzione — più o meno inconsapevole — delle capacità mentali di un’intera generazione di studenti e di futuri cittadini. La Scuola deve insegnare che non sempre la comodità è preferibile allo sforzo: esattamente come nello sport (che molti discenti praticano), sforzarsi di far cose difficili ci fa crescere nel corpo e nella mente.

Certamente anche per molti docenti e prèsidi il registro elettronico è comodo, ed è forse anche per questo che ha preso piede; al punto che la decisione del Consiglio d’Istituto della scuola di Firenze è forse destinata per lungo tempo a rimanere isolata. Anche molti genitori, ormai avvezzi a controllare sul registro elettronico i compiti dei ragazzi (e l’operato dei docenti), rinuncerebbero con difficoltà al panopticon elettronico. Tuttavia, siccome si insegna quel che si è (e non quel che si sa o si crede di sapere), solo la coerenza tra parole e comportamenti concreti potrà invertire la rotta del progressivo decadimento cui la Scuola sembra avviata insieme alla società italiana tutta.

La mente sviluppata da carta e penna

La letteratura scientifica dimostra che i bimbi producono più parole (e più velocemente) se imparano a scrivere a penna. Al contrario, per eccesso di stimolazione, chi scrive sul tablet manifesta ansia e distrazione maggiori.

Bisogna pertanto arrendersi all’evidenza: solo chi ha già preparazione e cultura di base adeguati viene potenziato dall’uso dei mezzi telematici; altrimenti, questi mezzi risultano dannosi, e tali da rendere dipendente chi li usa, limitandone le possibilità di sviluppo.