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Sentenze Consulta per non discriminare i vecchi diplomi di Accademia di BB.AA. ai fini del riscatto pensionistico

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In un precedente articolo abbiamo affrontato il tema del riscatto a fini pensionistici dei titoli Afam. Già in quell’occasione è stata messa in evidenza la contraddizione di quanto riportato nel messaggio Inps 15662/2010, penalizzante per coloro che hanno ottenuto i titoli Afam antecedentemente all’a.a. 2005/2006 (da quando cioè è stato previsto che le istituzione del settore artistico e musicale attivassero percorsi di primo e di secondo livello, come avveniva già da qualche anno per i corsi degli Atenei), rispetto ai vecchi titoli universitari (persino i diplomi biennali) che invece risultano ancora riscattabili. A parte alcuni interventi normativi che vanno nella direzione dell’equipollenza dei titoli e quindi del riconoscimento della possibilità di riscatto, a determinate condizioni, dei titoli accademici dell’Alta formazione, la contraddizione di quanto riportato in quel “messaggio” Inps sembra evidente di fronte a specifiche sentenze della Corte costituzionale; in particolare, come già accennato nell’articolo precedente, la sentenza   n. 52 del 9-15 febbraio 2000, con la quale la Consulta ha affrontato il tema del riscatto dei vecchi diplomi conseguiti presso l’Accademia delle belle arti, a determinate condizioni.

La sentenza della Corte costituzionale si esprime favorevolmente sul riscatto del corso di studi dell’Accademia quando il titolo serve per l’ammissione in servizio

Con la sentenza appena citata, la Corte costituzionale (come peraltro “aveva già fatto con altre sentenze simili” – citazione  di un comunicato nel 2000 di Adnkronos – in merito a “norme delle legge sul pensionamento dei dipendenti statali e del decreto legislativo su riscatto e ricongiunzione, che non riconoscono ai fini previdenziali il riscatto degli anni di studio presso l’Accademia di belle arti o simili”) ha dichiarato incostituzionale il D.P.R. 1092/73 e il D.L.vo 184/97 laddove non prevedono l’ammissione al riscatto del periodo di studi compiuti presso l’Accademia delle belle arti specificando che “nella parte in cui non consentono al dipendente dello Stato di riscattare ai fini del trattamento di quiescenza, il periodo di durata legale del corso di studi presso l’Accademia di belle arti ovvero presso istituti o scuole riconosciuti di livello superiore (post-secondario), quando il relativo diploma o titolo di studio di specializzazione o di perfezionamento sia richiesto, in aggiunta al titolo di studio, per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni”.

Di conseguenza appare chiaro (evidentemente non all’Inps) che il diploma (almeno per quanto concerne l’Accademia di belle arti), conseguito anteriormente alla riforma dell’Afam e dei suoi percorsi con l’introduzione di due livelli anche per l’Alta formazione artistica e musicale, richiesto per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni può essere riscattato ai fini pensionistici.

In particolare, il Tar Lombardia, su ricorso, aveva rimesso ai giudici di Palazzo della Consulta la questione di legittimità costituzionale di parte del D.P.R. 1092/73 e di parte del D.L.vo 184/97 per via del mancato riconoscimento, ai fini del riscatto pensionistico, del periodo di studi compiuti presso l’Accademia di belle arti da un’insegnante che aveva utilizzato il diploma di Accademia di BB. AA. congiuntamente ad altro diploma di II grado per l’immissione in ruolo a seguito di concorso a cattedra.

In effetti la Corte costituzionale nel contesto di una successiva sentenza (la n. 367 del 2006) ha evidenziato: “Il nesso di strumentalità tra titolo di studio e attività lavorativa è essenziale al lavoro pubblico per il quale rileva l’art. 97 Cost., mentre è estraneo al lavoro privato”.

Infatti, in linea con le sentenze della Corte costituzionale,  l’Inpdap con la nota 10/2006 ammette il riscatto del corso di studi svolto presso l’Accademia delle belle arti, ma poi l’Inps, con il “messaggio” del 2010 sembrerebbe avere effettuato una sterzata da inversione a “u” rispetto alla suddetta nota Inpdap. Infatti, come già riportato nel precedente articolo, l’Inps, con messaggio n. 15662/2010 (“Contributi da riscatto per il corso di laurea”) scrive che “Per quanto riguarda i diplomi rilasciati dagli Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale possono essere ammessi a riscatto ai fini pensionistici (…) i nuovi corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006, e che danno luogo al conseguimento dei seguenti titoli di studio: diploma accademico di primo livello; diploma accademico di secondo livello; diploma di specializzazione; diploma accademico di formazione alla ricerca (equiparato al dottorato di ricerca universitario)”.

Non si vuole riconoscere pari dignità ai vecchi titoli Afam rispetto a quelli (anche di durata inferiore) conseguiti negli Atenei?

Nel “messaggio” Inps 15662/2010 si legge che non solo si possono riscattare (ovviamente in modo condivisibile e legittimo) i titoli di laurea (L) al termine di un corso di durata triennale e chiaramente anche quelli di laurea specialistica (poi denominata “magistrale”, LM), introdotti dal decreto n. 509 del 3 novembre 1999, ma pure i titoli universitari conseguiti con il vecchio ordinamento (le vecchie lauree quadriennali, ad esempio), .… persino i vecchi diplomi universitari, anche soltanto biennali (riconducibili alla “legge Ruberti” del 1990 e poi soppressi dalla legge n. 509/1999): per carità, a me sembra giusto che possano essere riscattati anche quest’ultimi ma allora perché penalizzare corsi di Accademia e altre istituzioni Afam (purché conseguenti al rilascio di un diploma di scuola secondaria di II gado) di durata doppia (quadriennale) o anche di più?! Cioè, della serie “l’Università è la sede del sapere e invece le Accademie non hanno pari dignità”: ma così si “delegittimano” anche i docenti delle Accademie e soprattutto non si tiene conto dell’equiparazione tra Atenei e Afam, con la legge n. 508/1999 che ha posto il settore dell’Alta formazione artistica e musicale allo stesso livello delle Università (una equiparazione  evidenziata anche da una sentenza del Consiglio di Stato nel 2013, nel contesto di una controversia relativa ad una docente cui non era stato riconosciuto un master ai fini del punteggio per la Gae)!

Forse si pensa che il numero di insegnanti che avendo un titolo accademico di vecchio ordinamento potrebbero fruire del riscatto ai fini pensionistici sia esiguo, ma non è così (a parte che avendone i requisiti sanciti da leggi e sentenze della Consulta il problema numerico neanche si deve porre)  perché alcuni docenti avevano già fatto domanda di riscatto, entrando in ruolo, persino quando ancora non era stata dichiarata l’equiparazione fra titoli universitari e di Accademia di pari livello (proprio prefigurando che presto si sarebbe sancita per legge una legittima equiparazione), e comunque molti altri lo hanno fatto dopo la legge di equiparazione, e almeno da quella data dovrebbero essere accolte le richieste fatte precedentemente e successivamente).

In fondo, allo Stato non converrebbe “intascare” il costo del riscatto anche di tali lavoratori? A parte il fattore più importante: l’equità di trattamento fra lavoratori di pari grado.

E poi, come evidenziato nel nostro precedente articolo sull’argomento trattato,  c’è un aspetto da considerare che ha dell’incredibile: nelle scuole superiori (licei artistici, compresi gli ex istituti d’arte confluiti appunto nei licei artistici) ci sono discipline insegnate da docenti che hanno il titolo quadriennale di Accademia oppure ad esempio la laurea quadriennale in Architettura: quindi, in tali casi (tutt’altro che rari) i primi non avrebbero diritto al “riscatto” degli anni di studio e i secondi sì? Certo, per l’Inps con il suo “messaggio” n. 15662 del 14 giugno 2010 è così (eppure fanno lo stesso lavoro, assunti nel settore pubblico, hanno entrambi l’abilitazione e insegnano la medesima materia): una discriminazione inaccettabile e priva di qualsiasi buonsenso, paradossale ma soprattutto con rilievi di legittimità costituzionale.  E infatti, in sintonia con l’esempio appena fatto (anche se nel caso specifico si tratta di docenza nella stessa Accademia di BB.AA., ma chiaramente quanto stabilito ha valenza anche per la docenza nella scuola superiore), c’è un’altra meno recente sentenza sempre della Corte costituzionale (n. 535 del 28 novembre – 5 dicembre 1990) che nel dispositivo rileva: “la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 comma 1 del d.P.R. 20 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico  delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte in cui non prevede il riscatto ai fini del trattamento di  quiescenza degli  anni  corrispondenti  alla durata legale del corso di studi per il conseguimento di uno dei diplomi dell’Accademia di belle arti, richiesto congiuntamente al diploma di maturità artistica, in alternativa alla laurea in architettura, per l’ammissione ai  concorsi per la docenza di ruolo nella Accademia di belle arti”. Più chiaro di così…

Con il superamento della “legge Fornero” il riscatto dei percorsi di studio incide sull’anzianità contributiva

Con la riforma della “legge Fornero” (quella che ha determinato anche il grande problema degli “esodati”: ohibò, gli era sfuggito?!)  e la sostituzione ai fini pensionistici di “quota 100” (che poi, in realtà si dovrebbe chiamare “quota 38” in relazione agli anni di contributi versati, perché si potrebbe andare in pensione a 62 anni soltanto se già si hanno appunto 38 anni di anzianità di servizio) rientra in gioco la questione del riscatto del titolo di laurea (o di analogo diploma accademico Afam) che con la legge del governo Monti si riduceva alla possibilità di aumentare il vitalizio percepito da pensionati (con l’importo della pensione ricalcolato sulla base di un montante contributivo più elevato) ma non aveva effetti sull’età di uscita dal mondo del lavoro, visto che, a regime, fu introdotta la pensione di vecchiaia a 67 anni, salvo aggiornamenti legati all’aspettativa di vita.

Ma l’Inps sembra… contraddire se stesso: forse il “messaggio” 15662/2010 ha semplicemente dimenticato di menzionare anche quanto disposto dalla Consulta

Ora, come l’Inps, possa non tener conto di sentenze della Corte costituzionale resta per me un mistero! Ma attenzione, forse… si tratta di un “pasticcio” dovuto alla mancanza di chiarezza (un po’ come il panico generato dal mancato riscontro nell’estratto conto previdenziale dei versamenti contributivi di molti lavoratori del settore pubblico, e dal concomitante termine di prescrizione fissato al 1° gennaio 2019, poi spostato al 1° gennaio 2020, ma con ampie rassicurazioni che i lavoratori, già parecchio “sorpresi” dal mancato versamento, godranno lo stesso dei periodi contributivi non ancora “regolarizzati” e che la prescrizione avrà soltanto effetto sugli enti – datore di lavoro pubblico – che a quel punto dovranno provvedere personalmente a sanare la situazione – però ancora non è ben chiaro se i lavoratori dovranno comunque segnalare gli “errori” e/o gli “ammanchi” – anziché lo stesso Inps): infatti, il “messaggio”  15662/2010… viene a sua volta contraddetto da quanto contenuto nel sito dello stesso Inps, nell’area “Prestazioni e Servizi/ Periodi riscattabili dai dipendenti pubblici iscritti alle casse pensioni della Gestione Pubblica”; cliccare quindi su “Come funziona, dove troverete (nell’ambito di un elenco in cui sono riportati i periodi riscattabili a domanda e con onere a carico dell’interessato) – appena sopra la voce “diplomi rilasciati dalle Istituzioni Afam (Istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica) per corsi attivati a decorrere dall’anno accademico 2005/2006 (nota operativa ex Inpdap 14 maggio 2009, n. 25)” – la seguente dicitura, sempre in riferimento ai periodi riscattabili a domanda e con onere a carico dell’interessato: “diploma di Accademia delle Belle Arti e tutti quei diplomi, titoli di studio o corsi di specializzazione conseguiti presso istituti o scuole riconosciute di livello superiore (post-secondario), quando il relativo diploma o titolo di studio di specializzazione o di perfezionamento sia richiesto per l’ammissione in servizio di ruolo o per lo svolgimento di determinate funzioni (sentenza della Corte Costituzionale 2000, n. 52; nota operativa ex Inpdap 1° febbraio 2006, n. 10 )”.

Allora forse nel “messaggio” 15662/2010 semplicemente… si omette di citare anche quanto disposto dalla sentenza della Consulta, accanto ai riconoscimenti validi, da una certo periodo in poi (anno accademico 2005/2006), per i rinnovati percorsi Afam del 3+2. Se questa è l’interpretazione giusta (come detto, non mi sembra ipotizzabile che l’Inps possa non tenere in considerazione sentenze della Corte Costituzionale), allora basterebbe un ulteriore chiarimento definitivo che tenga appunto conto della sentenza citata e di altre normative. Il riferimento a queste ultime è in particolare il comma 107 dell’art.1 della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), di cui abbiamo parlato ampiamente nel nostro precedente articolo di qualche giorno fa, che argomenta  sull’equipollenza dei vecchi diplomi accademici (“i diplomi finali rilasciati dalle istituzioni (…) al termine dei percorsi formativi del previgente ordinamento”), quindi quelli precedenti alla riforma apportata dalla legge n. 508 del 21 dicembre  1999, così come modificata dalla legge n. 268 del 22 novembre 2002 (Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati), che li riconduce in Afam e che comunque ancor prima, ai fini dei concorsi pubblici e per l’abilitazione all’insegnamento, erano stati equiparati alle lauree del vecchio ordinamento universitario di cui alla legge n. 341 del 19 novembre 1990.

Chiarimenti per evitare controversie legali. Il problema si pone per i Conservatori di musica?

Magari, il chiarimento lo potrebbe dare il presidente Boeri, sempre pronto a fornire dati e rilievi sulla riforma pensionistica in atto, a cui si chiedono stavolta semplici spiegazioni interpretative a sentenze che appaiono cristalline? E magari sarebbe opportuno che lo stesso Miur, allineandosi alle decisioni di giudici che si sono pronunciati in materia di legittimità costituzionale e sono intervenuti perché l’Avvocatura dello Stato in passato aveva fatto opposizione a sentenze di altri organi giudicanti, facesse sentire la sua voce in modo “stentoreo” senza possibili “equivoci”.

Poi, se l’Inps vuole perdere in Tribunale le cause portate avanti dai lavoratori che operano nel settore pubblico in virtù del loro diploma accademico e che vedono così (magari però dopo lunghe trafile) riconosciuti i propri diritti anche alla luce delle sentenze della Consulta…. Ma le  controversie legali hanno pure un costo: perché ostinarsi?

Semmai il problema si è posto per i diplomati dei Conservatori di musica, ma anche per costoro una nota (prot.n. 9138/2003) della Direzione centrale-Trattamenti pensionistici-Ufficio1 dell’Inpdap aveva chiarito che “si ritiene che il diploma di Conservatorio rilasciato in base all’ordinamento previgente al momento dell’entrata in vigore del decreto legge n.212/2002, è riscattabile ai fini contributivi perché la norma, direttamente, attribuisce a coloro che siano in possesso del vecchio diploma, il valore di laurea di primo livello, a condizione che il titolare sia anche in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado”.

Però, per i Conservatori va in effetti evidenziato un altro successivo intervento non certamente favorevole: nella nota operativa ex Inpdap n. 25 del 14 maggio 2009 si legge: “Si precisa, da ultimo, che i pregressi diplomi rilasciati dai Conservatori in base alla previgente normativa, vale a dire conseguiti dopo un percorso di studi al quale si era ammessi con la licenza di scuola media di 1° grado, hanno avuto e mantengono la loro valenza soltanto per l’accesso all’impiego (es. docenti di musica). Pertanto, oltre a non essere riscattabili ai fini previdenziali, non sono utili ai fini del diritto alla concessione della quota parte della pensione ai superstiti”.

Insomma, qualche dubbio interpretativo resta probabilmente per i Conservatori di musica (chi si è iscritto ad un corso, antecedente ai percorsi del nuovo ordinamento, dopo il conseguimento di un diploma di scuola secondaria di II grado e il titolo del Conservatorio è servito per l’accesso al pubblico impiego può essere ammesso al riscatto a fini pensionistici oppure il fatto che per l’iscrizione era sufficiente la licenza media comunque preclude tale possibilità?) e anche questo andrebbe chiarito con celerità (certo, si spera che i titoli accademici del vecchio ordinamento – Conservatori, Isia, ecc. – siano, a certe condizioni, valutati ai fini del “riscatto” almeno al primo livello dei percorsi 3+2, diploma di I livello dell’Afam che è equipollente a specifica laurea di I livello in Arte, musica e spettacolo). Per i vecchi corsi dell’Accademia di BB.AA., come abbiamo visto, il riscatto a fini pensionistici andrebbe in effetti calcolato per l’intera durata quadriennale: dopo le sentenze della Consulta di cui lo stesso Inpdap aveva preso atto dubbi non ce ne dovrebbero essere!