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Solo stranieri in una classe a Bologna

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L’agenzia Dire racconta di una classe che il Consiglio di istituto della scuola, in una lettera inviata al Coordinamento dei Consigli di istituto, critica ponendo parecchi dubbi sia sulla separazione degli alunni stranieri da quelli italiani “che ha il risultato immediato di dividere”, sia su una decisione presa senza consultazione preventiva dei genitori e dello stesso Consiglio di istituto.
Il presidente del Consiglio d’istituto, assieme agli altri componenti dell’organismo nella missiva mette in fila i motivi della contrarietà a questa novità. Tra i rappresentanti c’è chi si è dimesso proprio perché in contrasto con la scelta di avviare la classe di soli stranieri senza prima sentire il Consiglio.
I problemi, per i genitori che compongono il Consiglio d’istituto, sarebbero sia formali, sia politici che pratici.
La classe è composta solo da allievi stranieri, di nazionalità ed età diverse (comprese tra gli 11 e i 15 anni) e la composizione del gruppo può variare perché gli allievi possono essere spostati in altre classi e nella ‘1^A’ possono arrivare anche nuovi alunni. Gli allievi stranieri, analizzano i genitori, non parleranno in aula con altri italiani e avranno come unico riferimento italiano solo l’insegnante, “annullando tutte le potenzialità della educazione tra pari”.
Un altro problema rispetto all’istituzione della “1^A” è che la classe non ha una composizione fissa e quindi i giovani non avranno mai un gruppo di riferimento stabile. Il timore è che questa soluzione sia l’anticamera della riproposizione delle classi differenziali.
Inoltre il Consiglio è convinto che una scelta del genere contrasti con i principi di inclusione e confronto “ai quali la scuola si deve ispirare”. Nella lettera al coordinamento dei Consiglio d’istituto, si chiede quindi se “la scuola del nostro territorio vuole intervenire nei confronti dei problemi radicali separandoli dagli altri”; se la classe sperimentale “farà parte di un progetto più ampio che riguarda l’accoglienza dei giovani stranieri in età compresa tra gli 11 e i 15 anni”; e se “educheremo i nostri figli in modo da far capire loro che la separazione insegna meglio rispetto alla coesione e all’integrazione”
Poi c’è la questione formale e il fatto che la sesta sezione, scrivono i componenti del Consiglio d’istituto, “è sembrata piovere dal cielo nel momento in cui le altre cinque classi erano già formate”, una decisione che andrebbe contro le prerogative del Consiglio, che dovrebbe dare le linee guida del progetto formativo. Nella lettera si sottolinea inoltre che il Consiglio non ha potuto analizzare questa sperimentazione prima che partisse, ma ha ricevuto spiegazioni solo dopo aver preteso una presentazione “a cose già avviate in un clima di grande sfiducia da parte nostra nei confronti della dirigenza scolastica e di del collegio docenti a noi parsi reticenti”.
I componenti del Consiglio, insomma, ritengono che tenendoli all’oscuro, il Collegio docenti “abbia rotto un legame sacro per la tenuta del percorso educativo e pedagogico, ha rotto il legame tra insegnanti, scuola, genitori e territorio”. Un fatto considerato “molto grave”, anche perché negli ultimi anni, la scuola bolognese avrebbero adottato un orientamento “forte” alla separazione che i genitori, invece, contrastano.
Tra le sperimentazioni ci sono stati i laboratori organizzati solo per i “casi sociali”, senza contare la “scarsa relazione con i servizi sociali del territorio, la scarsa comunicazione con le famiglie”. E’ vero, ammettono poi i genitori, che nella scuola si lavora sempre in deroga alla disposizione Gelmini col limite massimo di stranieri per classe del 30% e che quindi “gli insegnanti sono sulla frontiera del confronto continuamente”, ma questo problema c’è anche nell’intero quartiere San Donato.
Per questo i genitori sono convinti che anche i sindacati, le associazioni e tutti i protagonisti attivi dei progetti sul territorio, debbano avere un ruolo importante “su come si determinano le politiche scolastiche e di accoglienza dei giovani stranieri”. Alla fine, il Consiglio dice di non chiedere “miracoli, ma l’assunzione di responsabilità di collaborare”.