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Agire quotidianamente per i diritti delle donne

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di Benedetta Fusaia (*)
 

"Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre l’illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, la figlia o la sorella". Art. 587 Codice Penale.

 

Inoltre, passione e onore rappresentavano delle attenuati, che spesso portavano l’imputato a forti sconti di pena, se non all’assoluzione. Questa legge è stata mantenuta in vigore fino al 1981.

 

La condizione di inferiorità della donna era ribadita anche nel Codice Civile, scritto nel 1942, che affermava la soggezione della moglie al marito nei rapporti personali e patrimoniali. Questo determinava un’effettiva condizione di schiavitù delle donne nei confronti degli uomini, che le possedevano a tutti gli effetti, o in qualità di padre o in qualità di marito.

 

Fin dall’Ottocento, in Inghilterra, sono cominciate le grandi lotte per l’emancipazione della donna (conosciamo tutti le famosissime suffragette, se non altro per merito di Mary Poppins), che si sono tramutate poi nei vari movimenti femministi che hanno pervaso il mondo occidentale, fino a giungere ai giorni nostri.

 

Attualmente nel Codice Civile non v’è più traccia di leggi che sanciscano quella terribile sopraffazione, ma purtroppo cambiare una legge, seppur complicatissimo, è più facile che cambiare cultura e mentalità.

 

Tutt’oggi esistono uomini (di tutte le classi sociali) che pensano che le donne sia oggetti da possedere, merce di scambio e quant’altro.

 

Ciò che è ancora più grave e drammatico è che esistano donne che, in qualche modo, glielo permettono.

 

Giornali e telegiornali sono pieni di storie di violenze quotidiane perpetuate sulle donne di ogni nazionalità. Sia che queste violenze siano condannate dal codice penale, come nel mondo occidentale, sia che siano tollerate più o meno velatamente, come nel resto del mondo, sono fatti che accadono ovunque, quotidianamente.

 

Credo che sia inutile e anche noioso mettersi a snocciolare statistiche e dati, dal momento che sono facilmente reperibili altrove. Quello che mi piacerebbe poter fare è cominciare a ragionare su come poter uscire da questa situazione.

 

Ritengo che non sia mai troppo presto per insegnare alle bambine che nessuno ha il diritto di far loro paura, che nessuno ha il diritto di umiliarle, che nessuno ha il diritto di metterle a tacere, che nessuno ha il diritto di alzare le mani contro di loro. Mai, in nessun caso, per nessun motivo. Non ci sono scuse, non ci sono attenuanti, né ci devono essere esitazioni nel denunciare chiunque si senta in potere di negare loro questi diritti.

 

Non è mai troppo presto per insegnare alle bambine che non si devono vergognare. MAI.

 

Non è mai troppo presto per insegnare ai bambini che il rispetto per le donne fa di loro uomini veri, e non deboli da deridere.

 

Se ipotizziamo che la violenza sulle donne sia una questione culturale tramandata di generazione in generazione allora è sulla cultura e sulla consapevolezza dei singoli individui che si deve andare a intervenire. Di persona in persona, di famiglia in famiglia, di scuola in scuola.

 

Quando ci si trova davanti a grandi problemi il pensiero dominante è che possano essere risolti solamente “in grande”, cioè da uno stato che interviene sulla collettività ponendo limiti, divieti e pene. Questo sicuramente è corretto, ma i veri grandi cambiamenti partono dalla collettività e arrivano poi allo Stato.

 

 

23 novembre 2012, antivigilia della giornata mondiale per i diritti delle donne e contro ogni violenza

(*) L’autrice è una studentessa di 16 anni