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Alunni maltrattati da maestre logorate in pensione troppo tardi, studio Lodolo D’Oria: sole e alla gogna

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Quello degli alunni maltrattati a scuola e dei docenti indagati è un tema che negli ultimi anni ha riempito sempre più spazi all’interno dei vecchi e nuovi media. A leggere i numeri, i motivi sono evidenti: il fenomeno è più che raddoppiato nel 2019 rispetto al 2018, visto che da 47 maestre indagate si è passati a 101. E rispetto al 2014, i casi si sono incrementati di ben sette volte.

In pensione sempre dopo…

Pochissimo spazio, però, è stata data all’innalzamento progressivo degli accessi alle pensioni introdotto “al buio” negli ultimi 28 anni – in particolare dalle riforme Amato e Sacconi, fino alla discussa Fornero che ora si vuole superare dopo le timide contromosse “Ape social”, “opzione donna”, “Quota 100” – le quali hanno portato al proliferare delle “maestre-nonne”: donne, attorno ai 60 anni di età, con decenni di carriera alle spalle, oramai psico-fisicamente logorate, costrette a rimanere in cattedra fino a 67 anni (quando solo dieci anni prima lasciavano a 58).

Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista esperto in malattie professionali degli insegnanti, è andato a studiare il fenomeno degli ultimi sei anni: attraverso la ricerca, presentata in conferenza stampa a Roma il 28 gennaio, ha cercato di capire come si è arrivati ad indagare in pochi mesi oltre 100 meastre che operano a livello prescolare e scolastico negli asili nido comunali, nelle scuole dell’infanzia e primarie statali.

Docenti: età media alta e tanti anni alle spalle

Il primo doppio dato accertato è stato quello dell’età media delle docenti indagate (56,2 anni, con solo il 3% di casi sotto i 40 anni) e la loro elevata anzianità di servizio (33 anni).

E siccome le denunce aumentano col progredire dell’età e dell’anzianità di servizio, l’esperto di stress da lavoro correlato fa cadere l’ipotesi che i maltrattamenti a scuola abbiano luogo per una innata “indole malvagia” delle maestre: le cause di certi gesti, piuttosto, vanno ricondotte al loro “sfinimento e logorio psicofisico professionale”.

Se la motivazione di tutto fosse infatti “l’indole malvagia” del docente, avremmo un’età media molto più bassa perché l’insegnante sarebbe “cattivo” coi bimbi fin dall’inizio della sua attività e per tutto il tempo restante.

Metodi inadatti

Il medico ha anche appurato che il fenomeno è esclusivamente italiano e non ha alcun riscontro nei Paesi della Unione europea, e occidentali in genere, dove l’usura psicofisica professionale è comunque la medesima.

L’attenzione e il sospetto perciò si spostano debitamente sui metodi d’indagine verosimilmente inadatti all’ambiente scolastico: inquirenti non-addetti-ai-lavori (Carabinieri, Polizia Giudiziaria, Guardia di Finanza, Polizia Municipale, Polizia Postale).

Lodolo D’Oria punta il dito proprio su questo aspetto, quello delle modalità di accertare l’ipotesi di violenza perpetrata a scuola verso gli alunni: “pesca a strascico ad libitum con telecamere nascoste; selezione avversa degli episodi incriminati; decontestualizzazione delle immagini; visualizzazione parcellizzata delle registrazioni da parte di giudici e avvocati (0,1,0-4% rispetto al totale delle registrazioni); drammatizzazione della trascrizione degli atti; criteri empirici per stabilire sistematicità e abitualità degli episodi e via discorrendo”.

Si parte da “testimoni” poco attendibili

Inoltre, continua l’esperto di burnout, “le perplessità poi non possono che aumentare, vedendo che le indagini nascono sulla base del racconto di minori prescolarizzati i cui genitori, a loro volta suggestionati da gruppi whatsapp, riportano “de relato” i presunti episodi all’Autorità Giudiziaria.

La cautela è d’obbligo dopo i casi giudiziari che hanno interessato scuola e famiglia e avuto come protagonisti dei minori: Rignano Flaminio (con assoluzione in Cassazione dopo 8 anni di giudizio e imponenti spese), Bibbiano, Val d’Enza”, sottolinea il medico.

“Non è affatto escluso che il ricorso alla giustizia, con i suoi metodi estranei alla scuola, abbia finito, come di fatto è avvenuto in un lustro, col trasformare la palla di neve in valanga”, ha concluso Lodolo D’Oria, nel sottolineare l’eccessivo ricorso ad agenti dell’ordine – bypassando anche il dirigente scolastico – e le continue esortazioni per l’impiego delle telecamere a scuola.

L’indagine

Il reato ipotizzato risulta essere per 125 casi (92%) quello di maltrattamenti (art. 572 cp) e 12 volte (8%) quello di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 cp). La durata media dei tempi di AVI con telecamere è di 45 giorni con un minimo di 15 giorni fino a un massimo di 3 mesi. Le Forze dell’Ordine che hanno raccolto le denunce ed eseguito le indagini appartengono all’Arma dei Carabinieri (64%) e alla Polizia di Stato (28%), mentre in misura del tutto trascurabile alla Guardia di Finanza (4%), alla Polizia Municipale (3%) e alla Polizia Postale (1%).

Dallo studio è emerso anche che “il ricorso alle telecamere nascoste aumenta sensibilmente il rischio di coinvolgere altri docenti (sui quali spesso non grava peraltro alcuna denuncia) che lavorano a contatto con quelli denunciati”.

I casi esaminati sembrano essere distribuiti nel Paese con una netta prevalenza nel Sud e Isole, soprattutto col trascorrere degli anni: 30% al Nord; 24% al Centro; 46% al Sud e Isole.

Il fenomeno sembra inoltre prediligere la realtà di provincia (65%) rispetto a quella urbana (35%).

Discussione a parte meritano le tipologie di persone che sporgono denuncia per i presunti maltrattamenti agli alunni: se i genitori ne rappresentano la maggior parte (92%), assolutamente irrisoria è la percentuale dei colleghi (docenti 4%) o dei collaboratori scolastici (personale ATA 2%) o del dirigente scolastico (2%) che effettuano le denunce.

“È forse questo il dato più sorprendente in assoluto – dice il medico autore dello studio – perché se un genitore avesse di che lamentarsi per un qualche motivo (tanto più se riguardante l’incolumità del figlio piccolo) potrebbe in prima istanza rivolgersi al docente stesso e, se insoddisfatto, in seconda battuta, al dirigente scolastico tra le cui incombenze rientrano la vigilanza e la tutela dell’incolumità della piccola utenza”.

Anche perché, “nessuno meglio del dirigente stesso conosce il sistema educativo-scolastico-pedagogico in cui la scuola opera”.

Per non parlare del sistema scolastico inglese, dove “una qualsiasi denuncia contro i docenti deve essere sempre accompagnata da un verbale di colloquio col dirigente, recante i tentativi esperiti dal preside per porre rimedio alla situazione”.

Del tutto unica, e fortunatamente minoritaria, è “la situazione in cui lo stesso dirigente si reca all’autorità giudiziaria a sporgere denuncia, non ritenendo di propria competenza nemmeno l’effettuazione di una verifica e sottraendosi alle proprie mansioni (2° c art. 40 cp), rifugiandosi altresì nell’obbligo di legge che lo costringerebbe a denunciare una notizia di reato (art. 331 cpp)”.

Perché spetta ai capi d’istituto, da mandato professionale, “vigilare, verificare, controllare e, se del caso, intervenire per cercare di trovare una soluzione, evitando così alla piccola utenza di rimanere esposta a eventuali e ulteriori angherie a causa dei necessariamente lunghi tempi d’indagine”, i quali in media si attestano sugli 8-10 mesi.

“A fronte di detta situazione – continua Lodolo D’Oria -, nei 137 casi d’indagine per PMS, il dirigente scolastico è stato sorprendentemente chiamato a rispondere per inadempienza per sole 11 volte (8%), a riprova del fatto che l’Autorità Giudiziaria non sembra comprendere le reali responsabilità in capo al dirigente”.

Un dato interessante è quello dell’usura psicofisica del lavoratore, la quale “aumenta progressivamente col trascorrere degli anni lavorati e deve essere monitorata nonché prevenuta a norma di legge (art.28 DL 81/08)”.

Ancora una volta è chiamato in causa il dirigente scolastico che è, a tutti gli effetti, equiparato al datore di lavoro nonché responsabile di monitoraggio e prevenzione dello Stress Lavoro Correlato dei docenti.

Il DL 81/08 però non è stato finanziato dall’Istituzione, né la stessa ha attivato forme di controllo e verifica circa la sua applicazione, pertanto la prevenzione della salute professionale a scuola resta lettera morta.

Anche nel caso che l’ipotesi di maltrattamenti traesse origine da problemi di natura medico-sanitaria, il dirigente è dotato di appositi strumenti d’intervento sul singolo docente quali l’affiancamento, l’indagine ispettiva, l’accertamento medico d’ufficio nonché il ricorso all’immediata sospensione cautelare, in caso di imminente pericolo, a tutela del lavoratore e della stessa utenza (DPR 171/11).

Invece, in nessuno dei 248 docenti indagati, il dirigente scolastico ha adottato un provvedimento urgente e immediato di sospensione cautelare in vista di un accertamento medico d’ufficio (DPR 171/11).

Lodolo D’Oria se la prende, quindi, con i promotori dello “strumento principe per la ricerca di prove che vanno trovate a ogni costo”: le telecamere. “La durata media delle intercettazioni si attesta intorno ai 45 giorni”.

E poi pongono diversi limiti: “la sola selezione avversa delle immagini; la realizzazione di trailer a senso unico con “progressivi” negativi; la decontestualizzazione degli episodi; la drammatizzazione delle trascrizioni da parte di non-addetti-ai-lavori che nulla sanno e conoscono di educazione-insegnamento-pedagogia-sostegno alla disabilità in ambiente scolastico”.

Tutte procedure che hanno contribuito a ingigantire i problemi, anche per i tempi troppo lunghi che richiedono le indagini.

E dopo la sicura gogna mediatica per indagato (sempre incensurato) e famiglia con rischio salute, vita e tentati suicidi (a oggi si riconoscono due decessi prematuri e alcuni tentati suicidi di maestre), fanno pensare le sentenze di condanna sino ad oggi emesse in primo grado o in appello: oscillano tra un minimo di 20 giorni e un massimo di 4 anni e 8 mesi, con una media di 1 anno e due mesi.

“Siamo ben lungi dal massimo edittale di 7 anni del reato per maltrattamenti e sempre al di sotto dei 5 anni che inducono a definire “grave” un reato consentendo al Pubblico ministero di ricorrere all’uso delle AVI previa autorizzazione del Gip”.

“Il problema – continua Lodolo D’Oria – non risiede nell’indole perversa di pochi insegnanti, ma piuttosto nell’usura psicofisica professionale, occorre che il legislatore riveda tutti i punti fin qui trascurati quali la previdenza, il riconoscimento e la prevenzione delle malattie professionali degli insegnanti infine un’adeguata formazione dei dirigenti sui loro doveri”.

“La tutela della piccola utenza necessita di risposte tempestive che solo un dirigente scolastico preparato può garantire, senza dover attendere i tempi lunghi di una denuncia, lo svolgimento di indagini o l’adozione di un provvedimento interdittivo”.

La scuola non necessita di interventi esterni, ma deve riguadagnare autorevolezza al suo interno. Per questo servono “dirigenti scolastici preparati e competenti su quelle incombenze medico-legali ignorate dalle stesse istituzioni persino in sede concorsuale. Un Miur che trascura la formazione dei propri dipendenti, che assiste in pavido silenzio all’invasione della giustizia nelle scuole e che abbandona le maestre a un’opinione pubblica forcaiola, non può che raccogliere a piene mani la sfiducia delle famiglie oggi sempre più inadeguate e sole nel difficile compito di crescere le nuove generazioni”, conclude l’esperto di malattie professionali.

Le conclusioni dello studio sui maltrattamenti degli alunni, corredato da grafici, realizzato dal professo Lodolo D’Oria.