
È stata approvata la norma che porta all’arresto, fino al carcere, per chi aggredisce un arbitro durante una manifestazione sportiva, esattamente come avviene quando si agisce con violenza contro gli agenti di pubblica sicurezza. E anche, dopo la nuova norma voluta dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, a seguito di pesanti aggressioni verso gli insegnanti, con sanzioni pesanti, fino all’arresto, per l’adulto che picchia un insegnante o un dirigente scolastico. L’inclusione degli arbitri tra i lavoratori da considerare pubblici ufficiali nel corso del loro esercizio professionale è stata introdotta attraverso una modifica dell’articolo 583-quater del Codice Penale. In concreto, questo significa che chi agisce con violenza o minacce nei confronti di un direttore di gara, rischia sanzioni penali molto più severe, fino al carcere.
Il provvedimento nasce da una lunga battaglia condotta dall’Associazione Italiana Arbitri e dal suo presidente Antonio Zappi, da tempo in continuo dialogo con il Governo e con il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi. L’obiettivo era chiaro: tutelare chi, sui campi sportivi di tutta Italia, assicura il rispetto delle regole, troppo spesso a costo della propria incolumità.
La norma non si limita solo agli arbitri dei vari sport, a partire da quelli di calcio: tutela tutte le figure tecniche che garantiscono la regolarità delle competizioni sportive.
“La tutela degli arbitri entra finalmente nel codice penale. Questa è una legge storica rappresenta una vittoria di civiltà”, ha commentato Zappi.
Il presidente dell’Aia ha anche sottolineato l’importanza di affiancare alle misure repressive anche progetti educativi e formativi, per combattere la violenza alla radice.
Un passo avanti, dunque, per lo sport e sui valori etici fondanti. Un segnale forte per il rispetto. Ma anche, e forse soprattutto, una legge che parla alla scuola e alla formazione civica delle nuove generazioni.
I numeri parlano chiaro: secondo i dati forniti dall’AIA, ogni settimana si registrano solo sui campi di calcio decine di episodi di violenza o minaccia verbale e fisica ai danni di direttori di gara, soprattutto nei campionati giovanili o dilettantistici, dove spesso mancano protezioni e misure preventive. Il fenomeno è stato ormai riconosciuto come una piaga sociale, ma ha anche una profonda radice educativa.
È una questione di educazione e rispetto
Ecco perché la nuova norma apre un discorso che va ben oltre il campo da gioco: riguarda i valori che vanno trasmessi ai giovani, la percezione dell’autorità, il modo in cui affrontare la frustrazione, la cultura del rispetto delle regole. Tutti temi centrali nel mondo della scuola.
La scuola italiana è infatti per sua natura un vero laboratorio di cittadinanza e rispetto delle regole: e l’arbitro di una gara sportiva ne è una figura chiave. Riconoscergli uno status giuridico di rilievo significa, di fatto, rafforzare il concetto di autorità giusta e imparziale.
Se a scuola si insegna a rispettare gli insegnanti, a non aggredire verbalmente o fisicamente un compagno, la stessa logica deve valere anche in campo: l’arbitro non è un bersaglio, ma un educatore sul terreno di gioco.
Il parallelo tra arbitro e insegnante non è forzato: entrambi sono figure di riferimento che applicano le regole, favoriscono il confronto, ma vengono spesso percepiti come “ostacoli” piuttosto che come garanti. La legge, se accompagnata da progetti didattici mirati, può diventare una grande alleata contro il crescente fenomeno della violenza giovanile negli impianti sportivi. Laboratori scolastici, incontri con arbitri, testimonianze di episodi reali possono far capire ai giovani quanto ogni gesto di violenza, anche il più “banale”, possa avere gravi conseguenze, non solo penali ma soprattutto umane.
Un’occasione educativa per chi frequenta la scuola
“Lo sport è disciplina, lealtà e condivisione. Chi non lo accetta è avvisato: da domani comportamenti violenti saranno puniti senza indugio”, ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari.
È importante, dunque, far vivere questo cambiamento anche nelle scuole e nei campetti dei quartieri, allenandosi non solo nel gioco ma anche nel comportarsi da veri sportivi.
Il messaggio è chiaro: la violenza non ha spazio nello sport, e chi educa allo sport, come l’arbitro, va protetto e rispettato.
Sarebbe quindi utile trasformare questa legge in un’occasione educativa per i giovani che frequentano le scuole italiane, cercando di fare parlare la stessa “lingua” ad istituzioni, insegnanti, dirigenti sportivi e famiglie. Perché solo attraverso la cultura e l’educazione potremo formare cittadini più consapevoli, dentro e fuori dal campo. Perché lo sport forma, non ferisce.