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Burnout e “superuomini di massa”

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Il “Burn-out”: e cosa è mai? Letteralmente significa “bruciati via” e si manifesta con apatia, affaticamento fisico ed emotivo, distacco nei rapporti interpersonali, e in modo particolare nei confronti di colleghi e alunni, sentimenti di frustrazione per i presunti fallimenti professionali, perdita della capacità di controllo “rispetto all’attività professionale con il venir meno del senso critico che permette di attribuire la giusta dimensione alla sfera emotiva”.
E chi ne soffre? Ne soffrirebbero quasi tutti i docenti, senza distinzione di sesso o di scuola di appartenenza, mentre le cause sarebbero legate a tanti fattori, primo fra tutti la mancanza di potere del professionista nei confronti del fruitore e poi il rischio sempre assillante del fallimento della propria azione educativa e didattica. A queste colonne del disagio del prof. si aggiungono gli architravi delle cause ambientali, come la dilagante maleducata arroganza, il bullismo transumato dagli stadi, l’ignoranza di ritorno, il numero sempre più numeroso di alunni per classe, la delega alla scuola per risolvere tutti i problemi della società: dalla droga, al crimine, all’educazione sessuale, stradale, comportamentale e via discorrendo, senza tuttavia fornirla dei supporti necessari in termini di personale specializzato e di strutture adeguate.
L’indagine è non è di questi giorni, ma qualche anno fa fu condotta con rigore scientifico sulla base della percentuale di richiesta di esoneri dei dipendenti dello Stato, dove pero i docenti rappresentano solo il 18%, ma dove circa il 75% di prof sono stati dichiarati inidonei a svolgere la loro funzione contro un dato medio delle altre categorie del 36%. Pare anche che la commissione medica abbia acconsentito all’allontanamento permanente dalla propria cattedra ad oltre il 50% dei richiedenti, mentre al 17% di questa schiera abbia consentito l’inabilità a qualunque altra occupazione.
La sofferenza dunque c’è ed è reale, come dire che la classe dei docenti è malata di un virus su cui occorre interrogarsi. Ai professori infatti viene chiesto troppo, sia in termini di relazioni sia in termini culturali, mentre per riqualificarlo nulla viene investito: carriera blocca, contratto ignorato, scatti a singhiozzo, stipendio al minimo per le responsabilità e il sovraccarico di lavoro, durante il quale non è possibile neanche una pausa momentanea, ma per far fronte al quale però il decoro, la professionalità e la dignità del docente è continuamente messa a rischio.
Aggrava il “burn out” l’isolamento in cui il docente colpito viene ghettizzato, sia dai colleghi, e sia dall’utenza che è il più delle volte la causa scatenante, ma che lo vorrebbe manager, concorrenziale, brillante, preparato in tutto: una sorta di “superuomo di massa”. E invece ansia e depressione colpiscono fin troppi di questi immaginati superuomini il cui lavoro comporta un’usura psicofisica notevole, tanto che l’87% delle diagnosi emesse nei confronti dei docenti inidonei si riferisce a problemi ansioso-depressivi, mentre il 13% si divide tra disturbi di personalità e psicosi. Le diagnosi psichiatriche sono 5 volte più numerose delle disfonie che a loro volta sono considerate “causa di servizio”, contrariamente alle prime.
E sembra che anche all’estero le cose non vadano meglio, visto i prof sarebbero la categoria a maggior rischio suicidio in Francia mentre in Inghilterra il rischio di suicidi è al 40%. In Baviera uno studio mostra come la maggior parte dei pre-pensionamenti per malattia fra i prof sia dovuta a disturbi psichiatrici.
E il governo cosa fa? Allunga l’età pensionabile dei docenti senza prima aver valutato lo stato di salute della categoria; trascura la più delicata e preponderante componente femminile tra i docenti (le donne sono ben oltre l’ 85%) e la diversa suscettibilità delle lavoratrici di fronte al rischio delle patologie psichiatriche professionali.
Una sorta di accanimento “terapeutico” insomma nei confronti di personale indebolito nella propria psiche proprio durante il lavoro durante il lavoro, quello che fu caro a Socrate e alla maestra con la “penna rossa”.