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Facilitazione didattica, come usarla in presenza e in DaD

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La Didattica a distanza richiede che il docente si ponga come un facilitatore più che quando parliamo di didattica tradizionale. (VAI AL CORSO)

Laddove infatti, alcuni elementi della relazione si allentano, come avviene in DaD, quando il docente ha meno possibilità di monitorare le emozioni e le dinamiche relazionali del gruppo classe, magari a causa di un mancato contatto visivo con i suoi studenti e con i loro occhi, ecco che a compensazione di questo vulnus, il docente deve attivare strategie alternative che diano maggiore spazio, autonomia agli alunni. Il docente fa un passo indietro per farne fare uno in avanti al suo alunno.

Come facilitare la DaD?

Ma come si fa? Come facilitare la didattica a distanza senza rischiare che il passo indietro del docente comporti un passo indietro anche dell’alunno? Come garantire una didattica efficace anche in condizioni di distanza, così come stiamo sperimentando a fasi alterne ormai da marzo scorso?

Procediamo con ordine.

Chi è il facilitatore? Quale è il suo ruolo?

Quella del facilitatole è una professione chiave nel mondo della formazione, della didattica, dell’educazione, del sociale.

“Il facilitatore sovrintende ai fattori sociali e organizzativi, emotivi e di apprendimento durante riunioni e tavoli, forum partecipati e circoli di aiuto; il facilitatore è in grado di promuovere rapidamente un clima vitale e costruttivo, garantendo forme di comunicazione partecipata (a forte circolarità), forme di potenziamento e attivazione dei singoli all’interno degli obiettivi del gruppo (empowerment), forme di negoziazione integrativa e di gestione della negatività.”

È quanto ci spiega uno dei principali teorici del modello del facilitatore: Pino De Sario.

Quanto siano importanti in classe un clima positivo, un’attitudine all’ascolto propria dell’intero gruppo, una comunicazione partecipata, anche da parte dei più timidi, insicuri, riservati, è cosa nota e piuttosto scontata tra gli insegnanti; quello che è meno scontato è il reale verificarsi di queste condizioni. L’ottimo difficilmente coincide con il reale. Quindi che fare?

Buone pratiche

Esistono strategie, metodi, strumenti, buone pratiche per prepararsi alla gestione dei gruppi in chiave di facilitazione. Il docente facilitatore ha una marcia in più che gli permette di trovare la risorsa giusta (cognitiva e relazionale) in rapporto alla situazione problematica o alla criticità del momento: dall’argomento difficile, a uno stato d’ansia dell’interlocutore, alla stanchezza del gruppo classe, all’aggressività o alla passività di alcuni alunni.

Ad esempio, una delle competenze attive del facilitatore è sapere osservare. Secondo il modello dei big five, ci sono cinque grandi fattori della personalità ovvero cinque grandi segnali da osservare nell’analisi di un comportamento: 

  • l’estroversione/introversione; 
  • la gradevolezza/ostilità; 
  • la coscenziosità; 
  • la stabilità/instabilità emotiva; 
  • l’apertura mentale. 

L’analisi di questi fattori permette al facilitatore di modulare il suo intervento. Facile? No. Ma si tratta di competenze su cui il docente può e deve lavorare.

Il corso

Su questi argomenti il corso L’insegnante facilitatorein programma dal 6 ottobre, a cura di Pino De Sario.