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Gli statali perdono 200 euro al mese

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Gli statali, a causa del blocco degli stipendi 2010-2013, lasciano al datore di lavoro, secondo i calcoli della Cgil, alla fine dell’anno, 200 euro al mese in termini reali e ciò per causa del mancato adeguamento rispetto all’indice dei prezzi: le retribuzioni in pratica non recuperano l’8,1% di aumento del costo della vita che si è registrato nel periodo.
La stima, per il costo del lavoro dei dipendenti pubblici, tra il 2011 e il 2014 parla inoltre di un calo di sette miliardi, con il passaggio da 169 a 162 miliardi, a cui, dice l’Aran, si deve sottrarre ancora sia il congelamento di stipendi e scatti, e il mancato turn-over con cui si sono persi 120 mila lavoratori.
Una strategia che viene da lontano in quanto tra il 2007 e il 2011, secondo i dati del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato i dipendenti pubblici erano già diminuiti di 150 mila (da 3,43 milioni a 3,28 milioni) con un -4,3%, cosicchè oggi siamo a poco più di 3 milioni.

In altri termini tutti questi numeri stanno a sottolineare che lo Stato ha raggiunto il livello più basso di spesa per finanziare i salari dei propri lavoratori. 
E in più, secondo Cgil, dal 2010 ad oggi gli statali e gli impiegati delle Pubbliche amministrazioni territoriali hanno perso, sotto forma di mancati aumenti, circa il 9,2% dello stipendio.
Per fare qualche esempio: 2.575 euro all’anno in meno per gli impiegati degli enti locali, che con il loro stipendio medio inferiore ai 28mila euro lordi annui sono sul gradino più basso della categoria.
Molto più pesante il sacrificio dei dipendenti di Palazzo Chigi, che di euro ne guadagnano in media quasi 43 mila: il taglio pesa per circa 3,9 mila euro. 
In ogni caso da altre fonti si dice che lo stipendio medio è sceso a poco più di 34.400 euro l’anno e, nel frattempo, l’età dei dipendenti pubblici è aumentata fino a 47,8 anni nel 2011 dai 43,6 del 2010.
In Italia c’è il personale più anziano di tutti i Paesi Ocse, con quasi un dipendente su due over 50.
All’abbondanza delle persone vicine alla pensione corrisponde la carenza di giovani, solo uno su 10 (il 10,3%) in Italia ha meno di 35 anni, quando in Francia sono il 28% e in Gran Bretagna il 25%.
C’è poi da tenere conto degli effetti rovinosi che il congelamento produrrà in futuro sugli assegni previdenziali, in particolare per chi si prepara ad andare in pensione nell’arco dei prossimi tre anni.
Le proiezioni dicono che con il passaggio al sistema contributivo le misure prese in questi anni dai governi Berlusconi, Monti e Letta bruceranno fino al 20% della pensione.
Ad esempio, chi ha dovuto rinunciare a 7mila euro come mancati aumenti e andrà in pensione nel 2014-15 riceverà un assegno più leggero di 5 mila e 400 euro annui rispetto a quella che avrebbe ottenuto in condizioni normali. 
A questo proposito l’Anaao, l’associazione dei medici, dice che la decisione del Governo di prorogare al 31 dicembre 2014, ma di fatto a tempo indeterminato, le misure restrittive nei confronti dei dipendenti pubblici, e quindi dei Medici e dirigenti sanitari del SSN, colpisce al cuore servizi fondamentali quali la sanità e l’istruzione.
Ma aggiunge pure che se non si riescono a trovare i 7 miliardi per il rinnovo dei contratti, si tace dei 13 miliardi l’anno a spese dello Stato per le cosiddette “pensioni d’oro”, i trattamenti economici dei super-manager, di Stato e non, le rendite finanziarie. Intoccabili, non perché non si può ma perché non si vuole. 


“Tredici miliardi di qua e sette miliardi di là. Due cifre, due storie. Due pesi e due misure”, come ha scritto giustamente il direttore di Quotidiano Sanità. Ma una sola politica: quella che penalizza sempre e comunque il lavoro pubblico, e niente importa se questo viene effettuato a tutela di beni e diritti che la costituzione definisce fondamentali. 
Su tutte le furie il segretario nazionale della Uil Scuola, Massimo Di Menna, che ha promesso battaglia: “Il governo decide non solo il blocco del contratto ma addirittura, per la scuola, di prendere le risorse finanziarie già stanziate per le anzianità e per la valorizzazione professionale (30% dei risparmi). Una decisione inaccettabile”.
“Assieme agli altri sindacati, promuoveremo una azione di mobilitazione che per rispetto a famiglie e studenti non riguarderà il primo giorno di scuola, per far cambiare idea al governo. Ci attendiamo una convocazione per discutere e trovare le soluzioni. È insopportabile che rimangano sprechi e privilegi e si penalizzi chi ogni giorno fa funzionare la scuola pubblica”.
Anche il comparto Difesa ha chiesto di rivedere il provvedimento. La proroga rappresenta la reiterazione di una grave ingiustizia nei confronti di tutto il personale con le stellette e delle loro famiglie”, ha commentato il sindacato Cocer.
“Un ‘colpo di grazia’ all’intero comparto, dopo quelli già inferti dai precedenti governi Berlusconi e Monti".
Annunciate entro agosto forme di dissenso nel caso in cui "non saranno fornite formali assicurazioni, ovviamente nel rispetto della legge e della nostra militarità”.