
Secondo Eurostat la presenza dei Neet, giovani cioè dai 15 a 24 anni, che non studiano ne lavorano, né cercano lavoro, solo in quattro regioni: Marche, Molise, Campania e Sardegna sarebbero in calo, mentre in tutte le altre la situazione è peggiorata, in particolare in Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trento, Liguria, Umbria e Lombardia.
In Europa invece, i dati migliori sono nelle regioni olandesi e in Svezia, dove i ragazzi che non studiano e non lavorano sono tra il 3,5 e il 3,6%, quasi nove volte meno della Sicilia. Ma su questi valori troviamo anche la regione di Praga in Repubblica Ceca e poco più su Budapest, la capitale ungherese, al 5,6%. Nelle statistiche Eurostat mancano i dati di molte regioni tedesche, ma per avere un’idea basta guardare il dato medio, sostanzialmente fermo in Germania al 7,4%, contro il 19,8% dell’Italia, dato peggiore di tutti e in aumento dal 19% del 2020. All’estremo opposto l’Olanda e la Svezia al 5,1%.
Inoltre tredici regioni italiane su 21 non sono solo in declino demografico, perché dei pochi residenti molti decidono di andare via, ma fanno fatica a formare i pochi giovani che rimangono e a portarli fino ad un titolo universitario. Per questo bruttissimo problema, fa da testimone il livello di spesa pubblica per l’istruzione nei Paesi Ue.
Nel 2019 l’Italia ha speso per il sistema scolastico meno di 8,8 miliardi di euro di risorse pubbliche. È pari al 4,1% del Pil, come nel 2012 e meno della Bulgaria (4,2%), contro una media Ue del 4,7%. Non siamo proprio gli ultimi come in altre classifiche, e peggio di noi fanno Paesi come la Spagna. Ma la Svezia spende il 7,6. La Francia il 5,35% e la Germania il 4,7. Ultima è la Romania con 3,16%, ma tra i peggiori c’è anche il Lussemburgo. Evidentemente non è solo una questione di quantità di risorse, ma c’è anche un problema di qualità della spesa.
Il messaggio è dunque chiaro, specifica Il Sole 24 Ore, se non si investe sin da subito sulle nuove generazioni, si perderanno i ragazzi per strada e si troveranno tanti NEET che diventano sempre di più un problema sociale.
Se solo bastasse, si legge ancora, “cambiare nome ad un ministero, il problema sarebbe già risolto. Forse sarebbe sufficiente aggiungere la parola “inclusione” a istruzione e merito. Ma non è così. Serve avere la capacità di analizzare i fenomeni e di elaborare idee e progetti, oltre a qualche risorsa in più”.