Home Attualità I tagli alla cultura? Una decisione politica miope

I tagli alla cultura? Una decisione politica miope

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I tagli alla cultura sono una scelta politica. Voluta quanto miope. A sostenerlo, intervenendo a Montecitorio alla presentazione del rapporto annuale Federculture 2013, è stato il presidente della Camera Laura Boldrini. La quale ha aggiunto che le riduzione di spese per la cultura italiana “sono stati il frutto di scelte politiche, non di mere manovre contabili. Che si debba ridurre il debito, può essere una necessità oggettiva. Dove fare i tagli, no: è una decisione politica. Ed è stata una decisione miope”.
“In tempi di crisi spendere per cultura, per la scuola e per l’Università – ha aggiunto il presidente della Camera – non è uno spreco, non è un costo: è un investimento, uno stimolo alla ripresa. E’ una condizione per ripartire e per gettare un ponte oltre la stagnazione attuale. Ma tutto questo è stato clamorosamente sottovalutato. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.
Eppure, “appena il bilancio dello Stato ha cominciato ad andare in rosso, non si è esitato a tagliare sulla scuola, sulla ricerca, sull’Università, sulle misure per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Non si è esitato a depauperare i fondi per lo spettacolo, per la musica, per gli enti lirici e sinfonici. Insomma ad impoverire il nostro patrimonio culturale che è il bene più prezioso che l’Italia possiede”.
I dati contenuti nel Rapporto danno ragione a Boldrini: in Italia oggi vi sono 3.609 musei, 5.000 siti culturali, 46.000 beni architettonici vincolati, oltre 12 mila biblioteche, 34 mila luoghi di spettacolo, 47 siti UNESCO. “Abbiamo – ha sottolineato – il triplo dei musei della Francia e più del doppio di quelli della Spagna. L’industria culturale italiana vale settantasei miliardi di euro e occupa circa un milione e quattrocentomila lavoratori. Quattrocentoquarantamila sono le imprese riconducibili al comparto delle industrie culturali e ricreative. Eppure qualcuno arrivò a dire che ‘con la cultura non si mangia'”. Il riferimento è, probabilmente, ad alcuni esponenti politici dell’ultimo governo Berlusconi.
“Come se non bastasse, anche questo settore – ha sottolineato ancora Boldrini – è stato poi investito dai fenomeni di precarizzazione del lavoro e dalle logiche occupazionali ‘usa e getta’ che, con il pretesto della ‘flessibilità’, hanno finito per colpire non solo i diritti delle persone, soprattutto dei più giovani, ma anche la qualità complessiva dell’offerta culturale. Questa condizione è stata di nuovo denunciata nelle settimane scorse in manifestazioni dei lavoratori precari della cultura, i quali sono tornati a chiedere un trattamento equo e un adeguato riconoscimento professionale. Richieste, a mio avviso, più che motivate. Una prima risposta a queste richieste è venuta la settimana scorsa proprio qui alla Camera, con l’approvazione della legge che modifica il codice dei beni culturali specificamente sulla parte che riguarda le professioni. Una legge attesa da molte associazioni e che è stata approvata dall’aula con voto unanime. Ora, questa legge, è all’esame del Senato. Un esame – ha concluso Boldrini – che mi auguro attento e tempestivo”.