
Il dibattito sulle Indicazioni nazionali si amplia; convegni, seminari, incontri in presenza e on line si susseguono.
Oggi ne parliamo con Italo Fiorin, già docente di pedagogia sociale per molti decenni e ora direttore della scuola di alta formazione Educazione all’incontro e alla solidarietà.
Nel 2007 Fiorin era stato anche il coordinatore della Commissione che aveva lavorato al testo delle Indicazioni uscite in quell’anno.
Se lei dovesse riassumere con una battuta, con uno slogan il senso delle Nuove Indicazioni proposte dalla Commissione Perla cosa si sentirebbe di dire?
Mi viene da pensare a “ritorno al passato”; mi sembra uno slogan efficace perché dà conto del fatto che con queste Indicazioni si torna indietro su tanti aspetti: si torna ai programmi, al centralismo ministeriale, al paternalismo didattico ad una scuola che non viene ascoltata.
La mia preoccupazione più forte è però un’altra: la cultura pedagogica che ispirava le indicazioni precedenti faceva riferimento alle idee di cittadinanza e di partecipazione; idee che ora vengono mortificate e sostituite da una cultura di tipo nazionalistico, con una assurda enfatizzazione di una cultura dell’occidente. E questa è una visione pericolosa oltre che anacronistica perché tutte le volte che si tracciano confini e si descrivono identità per contrapposizione si finisce per sostenere una cultura dell’assimilazione del diverso e non del dialogo.
E’ una situazione molto rischiosa.
E’ vero, però oggi abbiamo anche dei contrappesi, viviamo in un sistema democratico piuttosto solido; forse tutti questi rischi non ci sono
Mi piacerebbe pensare che viviamo in una democrazia in buona salute, ma in realtà mi sembra che proprio questo sia il punto più critico; il voto è certamente l’espressione di un paese democratico ma questo non basta, ci sono Paesi non democratici che usano largamente il voto per legittimarsi.
E, se vogliamo fare un esempio di carente democrazia, possiamo parlare proprio della operazione messa in piedi dal Ministero con una forma di partecipazione/consultazione non autentica richiesta alle scuole.
Al contrario, le indicazioni 2007-2012 erano state accolte dai docenti con molto favore perché la scuola si è sentita prima di tutto ascoltata, si è sentita accompagnata; i docenti hanno potuto constatare che molte delle cose che scritte in quei documenti venivano da loro stessi.
La Commissione Perla ed anche lo stesso Ministro hanno più volte sottolineato che in queste Indicazioni viene messa in primo piano la persona. Questa parola richiama direttamente anche il personalismo pedagogico e filosofico che certamente è pienamente coerente con la sua formazione culturale e scientifica. Quindi questo richiamo dovrebbe piacerle, e invece mi par di capire che non è così. Per quale motivo?
Il riferimento alla persona è sicuramente un dato importante, si tratta anche di un riferimento di natura costituzionale, ma bisogna sempre intendersi quando si usano certe espressioni.
Provando a mettere a confronto i due testi si scopre che anche nel testo delle indicazioni 2012 la persona è centrale: il titolo di apertura era “Cultura, scuola, persona”, adesso abbiamo “Persona, scuola, famiglia”.
Ma c’è anche dell’altro: bisogna essere ben consapevoli che la persona non è solo individuo, ed è questo il punto fondamentale e dirimente.
Provo a spiegarmi con una bella definizione africana: la persona è persona attraverso le altre persone, cioè la persone è tale solo in relazione con gli altri. E l’essere in relazione con gli altri richiama direttamente i temi della solidarietà e della cittadinanza. Non caso nelle Indicazioni precedenti si diceva che la cittadinanza, che non è solo nazionale o europea ma è planetaria, rappresenta lo sfondo integratore dell’intero curricolo.
In conclusione: va benissimo parlare di persona ma a condizione che ci si riferisca alla persona con responsabilità sociale, alla persona chiamata ad essere cittadino responsabile. A me pare invece che nelle Nuove Indicazioni si metta troppa enfasi sul concetto di libertà della persona, valore che – lo dice la nostra Costituzione – deve essere affiancato a quelli dell’equità, della solidarietà e della fratellanza, se vogliamo parlare questo linguaggio.
Veniamo ad un altro tema: le nuove Indicazioni, in diversi casi, entrano in dettagli molto particolari. Prendiamo le indicazioni sulla storia: al secondo anno della primaria si dovrebbe parlare dei Martiri di Belfiore e della Piccola vedetta lombarda. Anche se molti hanno la sensazione che queste siano delle grida manzoniane perché poi alla fine nel chiuso della propria aula ogni continuerà a fare ciò che ritiene meglio. Lei cosa ne pensa?
Ho due osservazioni da fare.
E’ vero che in classe l’insegnante può fare quello che vuole e questo è un elemento importante da tenere presente perché effettivamente neanche le migliori indicazioni del mondo hanno il potere automaticamente di migliorare la scuola.
Seconda osservazione: l’esempio che lei ha proposto fa emergere grandi contraddizioni, nel capitolo sulla storia si dice che il bambino non può imparare attraverso l’uso dei documenti e delle fonti. E con questo si tradisce la storia facendola diventare una disciplina pedagogica e in definitiva anche un po’ ideologica, ma si entra in contraddizione con altri punti del documento perché a proposito della lingua italiana a un certo punto si dice che il bambino deve essere capace di interpretare e analizzare le fonti e valutarne l’attendibilità. Dunque quello stesso bambino che in storia non sa usare i documenti magicamente nella lingua italiana diventa capace di valutare l’attendibilità delle fonti.
Le Indicazioni offrono prescrizioni precise, anche molto dettagliate, non solo nel capitolo sulla storia; cose ne pensa?
E’ vero, c’è tutto un apparato che spiega per filo e per segno all’insegnante quello che deve fare; allora la domanda è: ma queste sono ancora indicazioni o sono qualcosa di mezzo tra programmi nazionali e guida didattica o sono addirittura quel curricolo che in verità è compito specifico della scuola? E’ un problema di non poco conto.
Chiudiamo con una questione: c’è chi sostiene che queste Indicazioni non sono in alcun modo emendabili quindi vanno respinte al mittente; altri dicono che sono indicazioni sulle quali vale la pena di discutere. Qual è la sua posizione?
Bisogna intendersi su un punto: il Governo ha il diritto (direi anche il dovere) di aggiornare e riscrivere le Indicazioni per migliorarle o comunque per modificarle. Ciò che va restituito al mittente è il modo con cui si sta lavorando: manca pluralismo nella Commissione, il testo è scritto male, non c’è rapporto con le scuole, manca la partecipazione.
Diciamo la verità: questo modo di consultare le scuole e i docenti è addirittura insultante.
Persino i corsi di laurea in scienza della formazione stanno protestando contro queste Indicazioni; bisogna aprire un dialogo con la scuola e con l’Università che è il luogo dove si formano i docenti che dovranno poi applicare le Indicazioni.
Volendo concludere con una battuta molto sintetica e volendo dare un voto a queste indicazioni allora potremmo dire che dei risultati oggettivi si può anche discutere e quindi il voto potrebbe essere una quasi sufficienza, mentre per quanto riguarda l’impegno e il metodo il voto è largamente insufficiente. E’ una sintesi giusta?
Io sarei più severo ancora: il modo con cui si sta coinvolgendo la scuola è inclassificabile; per quanto riguarda il testo, a me non piace dare voti e insieme con molti altri ho detto a suo tempo che non esiste il gravemente insufficiente perché c’è sempre un livello di competenza da cui partire. In questo caso dico che siamo al livello di competenza iniziale quindi mi augurerei che si elevasse di molto lo standard desiderato.