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La buona scuola è al Cottolengo

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Matteo Renzi va al Cottolengo a trovare i quasi quattrocento ragazzi tra i 5 e 20 anni, ospitati  in una struttura fra le eccellenze italiane

 “La gente pensa che noi qui facciamo qualcosa di straordinario”, dice Don Andrea Bonsignori, rettore della struttura, “mentre il problema è che non facciamo nulla di eccezionale, ma le cose normali che gli altri non fanno. E le facciamo nonostante i molti ostacoli che incontriamo sulla nostra strada”

Ostacoli di natura burocratica, innanzitutto, che pongono il Cottolengo tra le scuole paritarie, “quando invece andrebbe inserito in una categoria a sé”. “La scuola pubblica ha il 3,7% di ragazzi disabili; quella paritaria l’1,8; noi il 13,7″ spiega Don Andrea, “siamo trattati come una scuola privata, ma in realtà facciamo più di una scuola pubblica. Chiediamo di essere riconosciti come una realtà che in Italia non esiste, ma è apprezzata in tutta Europa”.

 “Mi piace immaginare una scuola così accogliente che un posto come il Cottolengo non serva più. Ovviamente è un paradosso, ma bisogna capire che non siamo noi ad essere particolarmente bravi: il problema è l’isolamento che si trova nelle altre scuole”.

A Renzi Don Andrea, nel corso della sua visita,  presenterà anche “un piano che mette a confronto una realtà che funziona con una scuola pubblica e mostra il risparmio che si potrebbe avere usando il nostro modello”.

 

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 “Non siamo assolutamente schierati in alcun modo, né politicamente, né religiosamente” dice il sacerdote, “abbiamo musulmani, ortodossi e persone di ogni provenienza. Nella sua peculiarità il Cottolengo è un modello di integrazione. Abbiamo famiglie di normodotati che fanno a gara per iscriversi da noi perché avere un disabile in classe è una risorsa. Abbiamo una serie di iniziative, tra cui quella per  formare i ragazzi disabili al lavoro, che funzionano e funzionerebbero meglio se si riuscissero a superare quelle pastoie burocratiche che, ad esempio, ci inibiscono l’accesso a programmi come l’alternanza scuola-lavoro. E abbiamo squadre sportive che giocano e vincono, ma non possono disputare i campionati delle federazioni per disabili perché hanno normodotati nella rosa né quelli delle federazioni normali perché ci sono dei disabili. Chiediamo solo di non dover essere costretti a fare dieci cose per ottenerne una: già  affrontare solo cinque passaggi sarebbe un risultato”.