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La scuola non porta consenso: meglio tacere

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La scuola non porta consenso: né nei confronti degli addetti, né delle famiglie. Lo sostiene su Linkiesta Francesco Luccisano, responsabile della segreteria tecnica del Miur quando si decise l’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro.

Non sarebbe infatti un caso che “in questa campagna elettorale, nessun partito abbia posto l’istruzione al centro delle proprie proposte: la scuola non crea consenso, meglio non parlarne troppo”.

In ogni caso, secondo Luccisano, “anche i più critici oppositori della Buona Scuola quando si parla di alternanza scuola lavoro frenano la polemica: usano i distinguo ma non puntano più a demolire l’istituto in sé”. Ergo, è una innovazione che piace.

Tuttavia “non è stato il Governo Renzi a inventare l’alternanza scuola lavoro: le sue radici si ritrovano nell’operato di un Ministro di segno opposto, Letizia Moratti nei primi anni del 2000. Ma è stato con la Buona Scuola che si è avuto lo sprint decisivo: obbligatorietà, estensione ai licei e finanziamento massiccio”.

Alternanza scuola-lavoro piace a tutti?

E, nonostante le proteste e i mugugni, “oggi ci troviamo un milione e mezzo di ragazzi dentro percorsi di alternanza. Alcuni eccellenti, altri da migliorare, altri ancora da riscrivere da capo: ma nessuno, nemmeno i partiti più ostili all’attuale Governo, si sono spinti a proporre il colpo di spugna”.

Come mai, si chiede l’editorialista dell’Inkiesta, nessuno vuole cancellarla?

“L’alternanza non è stata messa in discussione alla radice perché è un modo di fare policy scolastica interamente costruito intorno al futuro degli studenti, e non al presente degli insegnanti. In una scuola ancora largamente intesa con l’insegnante al centro, il dibattito sull’alternanza è un dibattito sulle competenze del futuro, sul dialogo tra scuola e territorio, tra sapere e saper fare, tra produzione e cultura. È un discorso pubblico che pone al centro la costruzione di futuro, e non il mantenimento di posizioni passate. Esplora spazi nuovi, non rimpiange quelli passati. Pone una istituzione ad alto rischio di autoreferenzialità come la scuola fuori dal suo spazio di confort, e le impone di essere attiva, aperta e capace di progettare”.