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La sentenza di Lussemburgo riguarda tutta la PA: per 250mila danneggiati risarcimenti di circa 24mila euro

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La sentenza emessa il 27 novembre dalle Corte di Giustizia europea non si riduce al personale della scuola, ma va allargata a tutto il pubblico impiego. È la posizione unanime espressa dai tanti legali ed esperti di giustizia intervenuti al convegno Anief, svolto stamane in Parlamento, all’interno di Palazzo Marini, sulla ‘Sentenza della Corte di Giustizia Europea sulla stabilizzazione del precariato scolastico’.

In particolare, l’avvocato Sergio Galleano, del foro di Milano, ha ricordato che “quanto stabilito dalla sentenza di Lussemburgo riguarda tutti i pubblici dipendenti, compresi gli enti locali. Noi, come avvocati, torneremo ora dai giudici italiani per dire loro che la Corte europea si è espressa in modo chiaro. Prima, certamente, si farà un tentativo di tipo legislativo, visto l’enorme danno erariale che ne deriverebbe: che è pari, di norma, ad una quota che varia tra le 12 e le 15 mensilità stipendiali non godute. Oltretutto, qualora lo Stato decida di non proceda all’assunzione di tante migliaia di precari della PA coinvolti, il risarcimento sarebbe ben più alto”.

A quantificare il potenziale danno pubblico è stato Paolo Coppola, giudice del lavoro di Napoli, promotore della richiesta alla Corte di Lussemburgo e ‘disobbediente’ alla Corte di Cassazione, a seguito dell’esame della vertenza mossa da unità di personale scolastico non di ruolo che rivendicava l’immissione in ruolo: “il danno erariale per le mancate assunzioni potrebbe costare allo Stato – ha detto Coppola – anche 6 miliardi di euro: non è la sentenza isolata di 10mila o 15mila euro a creare problemi. Ma le centinaia di migliaia di persone che poi rivendicherebbero lo stesso trattamento. E non è una novità: la questione della Scuola fu posta da me già nel 2007, quando lo Stato si difese in modo meraviglioso”, adducendo generiche motivazioni di bilancio pubblico e di tutela dello studio.

“Quando si affrontano certe questioni, quasi sempre tremano i polsi – ha continuato Coppola –, perché il potenziale danno per l’erario è enorme: se si considerano almeno 250mila-260mila precari coinvolti, come indicato da Ragioneria Generale dello Stato e Corte di Conti, ognuno di loro potrebbe infatti rivendicare un risarcimento danni per la mancata assunzione pari a 15 mensilità, cui si aggiunge il 2,5 per cento di ‘collegato al lavoro’, si arriva ad un rimborso di circa 24mila euro a precario. Se si moltiplica questa cifra per almeno 250mila aspiranti all’assunzione con almeno 36 mesi di servizio svolto, si arriva a 6 miliardi di euro. Ma si tratta di una stima in difetto, perché nel computo bisognerebbe inserire anche coloro che sono stati già stabilizzati e che per il principio di non discriminazione potrebbero richiedere a loro volta i danni per l’assunzione ritardata”. 

Il Governo farebbe bene quindi a voltare pagina, ha ribadito Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, moderatore del convegno. Dopo aver letto all’affollata platea la sentenza letta ieri a Lussemburgo, il sindacalista ha ricordato che il vulnus su cui si è soffermata la Corte è stato il mancato recepimento delle direttiva 1999/70/CE. Pacifico quindi poi sottolineato che “il decreto legislativo n. 368 del 6 settembre 2001, che in Italia avrebbe dovuto dare un seguito normativo proprio a quella direttiva Ue, è cambiato nel corso degli ultimi 13 anni ben 34 volte. L’ultima volta nel recente Job Acts”.

 Il presidente Anief ha quindi ricordato come la Legge 106 del 2011, comma 4 bis art. 168, abbia sottratto l’Italia dall’applicazione della direttiva Ue sostenendo che è prioritario il diritto allo studio. Successivamente la Corte di Cassazione, con la sentenza 10127 del 2012 (nella quale scriveva: “non vi è alcun spazio per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea”), “ha avallato l’operato del legislatore sostenendo, paradossalmente, la particolare condizione, ‘favorevole’, del precario italiano perché lavorando ha comunque la possibilità di acquisire punti in graduatoria ed essere gradualmente assunto. Inoltre, i vari Governi hanno sempre affermato che le prerogative di risparmio pubblico sovrastano quelle dei singoli lavoratori”. Nel corso del suo intervento, anche Michele De Luca, presidente emerito Corte di Cassazione, ha puntato il dito contro quella sentenza della Cassazione italiana.

Durante il convegno, l’avvocato Walter Miceli, del foro di Palermo, ha ricordato l’anomalia italiana nel “mantenere dei docenti per tutta la vita lavorativa, dai 24 anni, subito dopo la laurea, sino alla pensione, in stato di precariato. Con un’evidente danno alla loro carriera, sotto forma di mancati scatti di anzianità, e ferie, oltre che ridotta malattia, tredicesima e via discorrendo. Un sindacato audace e ‘corsaro’, fuori dai patti e dai giochi consociativi, ha permesso quanto accaduto. Ma anche senza il libero convincimento dei giudici, che si fanno guidare dalla propria coscienza, non saremmo arrivati a porre il quesito alla Corte di Giustizia europea”.

“E ora? Diciamo subito che la pensiamo come il Governo, che ha intenzione di varare un maxi piano di assunzioni. Ma non siamo d’accordo su come attuare queste assunzioni: le posizioni rimangono distanti. Sono ignorate dal piano Renzi, infatti, i non docenti, i collaboratori scolastici e la vasta platea dei docenti abilitati inseriti nelle graduatorie d’istituto. Infine, non possiamo accettare la decisione presa dal Governo italiano nel 2011 di lasciare al palo lo stipendio dei precari assunti: vengono assorbiti dallo Stato, ma con la busta paga che rimane praticamente bloccato. È un uovo di Colombo che non possiamo accettare”, ha concluso Miceli.

A chiudere il convegno sono stati alcuni deputati. L’on. Silvia Chimienti ha ricordato il piano alternativo del Movimento 5 Stella alla ‘Buona Scuola’ di Renzi, con la priorità di “svuotare prima di tutto le graduatorie ad esaurimento”. L’on. Fabrizio Bocchino (Gruppo Misto) ha ricordato che il contratto di lavoro a tempo determinato è la collocazione ‘principe’ del rapporto di lavoro. Il tentativo, condotto in Italia, di non recepire questo principio rappresenta una vera ingiustizia. Ma la sentenza di ieri getta anche un’ombra sul meccanismo proposto dalla Buona Scuola’ del Governo: su questo, sul rivedere alcuni meccanismi delle assunzioni, c’è un riconoscimento dei miei colleghi della maggioranza in Senato”.