Home Attualità Lo Ius culturae? L’unico modo per uscire dal razzismo latente

Lo Ius culturae? L’unico modo per uscire dal razzismo latente

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«Non gioco con te perché sei nera e hai il cuore nero, non ti prendo per mano perché sei sporca». A pronunciare queste parole è stata una bambina nei confronti di una sua compagna di classe in una scuola elementare in provincia di Como.

Ma casi simili sono accaduti anche in altre scuole, mentre – si legge su Linkiesta– la legge sulla cittadinanza agli stranieri nati in Italia si è ancora una volta arenata.

In una parte del disegno di legge originario, quello presentato durante il governo Gentiloni, si prevedeva che la cittadinanza italiana venisse riconosciuta ai minori nati o arrivati in Italia prima dei dodici anni. La condizione per ottenerla era che avessero frequentato almeno cinque anni un ciclo scolastico (anche la primaria) o corsi professionali. Un compromesso, perché l´acquisizione della cittadinanza non era automatica. Se minorenne, a chiederla spettava a uno dei due genitori. In caso contrario era possibile fare domanda dopo due anni dal compimento della maggiore età.

Intanto  negli ultimi dieci anni, il numero di bambini e di ragazzi stranieri che vivono in Italia ha continuato a crescere e  oggi rappresentano il 10,6 per cento della popolazione minorile italiana. Questo significa che più di un minore su dieci è straniero.

 L´Istat –precisa sempre Linkiesta– ha calcolato che al primo gennaio 2018 i minori stranieri di seconda generazione sono arrivati a superare il milione, il 75,3 per cento è nato in Italia. Ed ecco qui il punto. A scuola il numero di giovani stranieri è aumentato. Solo nell´anno scolastico 2017/2018 nella scuola primaria sono stati calcolati oltre 300mila stranieri, segue quella secondaria di secondo grado con quasi 200mila. Su un totale di oltre 8 milioni di iscritti, 842 mila, il 9,7 per cento, non hanno la cittadinanza italiana.

Nel frattempo si assottiglia il numero dei giovani stranieri di seconda generazione che si sentono italiani, per cui riconoscere loro la cittadinanza significherebbe operare a favore dell’integrazione. Essa – lo dice la nostra Costituzione – é un diritto inviolabile. Lo strumento perfetto che aiuterebbe a prevenire discriminazioni e disuguaglianze. Ma spetterebbe alla politica il grande compito di indirizzare.