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Scrutini: valutare soprattutto il livello finale raggiunto dall’alunno o il miglioramento dimostrato? Scienze per la Scuola

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Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di scrutini e valutazione.

Gli ho messo 7 perché voglio premiarlo per il suo impegno

Le ho dato 7 perché è migliorata molto, anche se in effetti sarebbe più un 6 stentato

Gli ho messo 5 perché non ha fatto niente durante tutto l’anno, ma non voglio scoraggiarlo

Gli ho messo 4, così impara!

Nella accidentata e multiforme realtà valutativa che caratterizza gli scrutini, l’attribuzione dei voti (risultante numerica di un ben più complesso processo valutativo) può avere le più svariate e originali funzioni: fotografico-oggettiva, compensativa, ammonitoria, gratificante, augurale, buonistico-assolutoria. Discretamente gettonata è anche la temibile variante punitivo-giudizio universale.

Al di là delle svariate interpretazioni personali del processo valutativo, ci sono però alcuni parametri di fondo che guidano (spesso implicitamente) le scelte degli insegnanti. Ecco quelli evidenziati dalla letteratura sul tema.

Diversi insegnanti adottano un approccio fortemente centrato sul criterio del raggiungimento o meno (e a quale livello) degli obiettivi di apprendimento da parte dell’allievo. Parametro valutativo che viene chiamato criteriale.

C’è poi chi, nell’attribuire il voto finale, guarda invece soprattutto ad un altro dato, cioè al confronto della prestazione dell’allievo con un campione dato, cioè con un gruppo di riferimento (parametro normativo). In genere, tale confronto avviene con gli altri alunni della stessa classe (parametro relativo), ma può essere effettuato anche con un più ampio campione statistico, secondo un parametro definito standardizzato.

Altri docenti preferiscono invece guardare agli elementi di progresso eventualmente registrabili rispetto alla situazione di partenza. Questo parametro valutativo è chiamato idiografico (o ipsativo) e stabilisce che ciò che conta di più è il percorso dello studente dallo stato iniziale a quello finale (personal learning gain) piuttosto che la situazione di preparazione “fotografabile” in un dato momento (quand’anche sia quella finale di un percorso).

I trend, nella loro registrazione dinamica (come in un film) di un processo, sembrano dire in effetti molto di più di tante statiche e separate “fotografie valutative”, su cui magari esercitarsi a trovare una media, per quanto ben costruite queste possano essere.

C’è oggi una sempre più forte tendenza a dare maggiore rilievo ad una integrazione soprattutto fra valutazione criteriale e idiografica, con una prevalenza, in particolare nel primo ciclo, per quest’ultima.

In effetti, essa presenta dei vantaggi sul piano della motivazione ad apprendere dell’allievo, in quanto limita la tendenza allo scoraggiamento da parte di alunni che potrebbero trovarsi oggettivamente al di sotto della linea della sufficienza per periodi anche molto lunghi di tempo, ma che comunque manifestano dei miglioramenti costanti, anche se non ampi. Svolge quindi una importante funzione valutativa, quella promozionale. Inoltre, questa valutazione riesce meglio di altre ad inquadrare potenzialità o situazioni di rischio presenti nell’alunno e si presta meglio delle altre ad interventi di personalizzazione educativa.

Tuttavia, essa va integrata con la valutazione criteriale (raggiungimento o meno degli obiettivi), altrimenti rischia di far perdere troppo di vista la situazione effettiva dell’allievo e di mantenere nel tempo livelli non alti di apprendimento. Così come può ingenerare nei pari un senso di ingiustizia (“Come, Carlo è sempre andato peggio rispetto a me e alla fine ha avuto un voto uguale al mio?!”).

Diversi esperti di valutazione consigliano di partire con una forte prevalenza della valutazione idiografica e poi, nel tempo, dare progressivamente più spazio a quella criteriale, in modo che l’allievo possa fruire di un periodo di consolidamento della sua crescita non spezzato (soprattutto emotivamente) da prolungati feedback negativi sulle prove in sé.

In un certo senso, il principio idiografico, concentrandosi sull’andamento tendenziale di un allievo, scommette sul suo futuro, affronta il rischio (pedagogicamente importante) di guardare in proiezione, oltre il dato attuale. Lev Vygotskij vedrebbe di buon occhio una valutazione che si concentra non solo e non tanto sullo stato attuale dell’allievo ma sul suo tendenziale di sviluppo.

In questo modo, si concede all’allievo una sorta di credito aggiuntivo, che riguarda la prospettiva del cambiamento e che può talvolta far intravedere allo studente insperate luci in fondo a interminabili tunnel di frustrazione e di bassa autostima.

Speranze e luci spesso decisive per riaccendere quel motore motivazionale che è una precondizione del successo formativo.

Il presente articolo fa parte della rubrica Scienze per la Scuola, curata da Giovanni Morello. Vedi anche gli altri articoli pubblicati:

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