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Service Learning, un antidoto contro individualismo e malessere psicologico: quando è efficace? – Scienze per la Scuola

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Nuovo appuntamento con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di Service Learning.

L’apprendimento-servizio si sta diffondendo in tutto il mondo. E non è un caso. Il suo principio di fondo, del resto, è vincente: mettersi a servizio della propria comunità non soltanto sviluppa il senso civico degli studenti, ma rende anche più efficace il processo di apprendimento; nello stesso tempo, l’apprendimento che si acquisisce a scuola rende più “competente”  il servizio rivolto alla propria comunità. Insomma, ci guadagnano tutti.

Sono tantissime le attività che possono essere svolte in questo quadro e possono coinvolgere qualunque disciplina. Si va dall’elaborazione di una guida digitale ai servizi disponibili in un Comune (a favore dei suoi cittadini o di precise categorie di persone) alla produzione di testi semplificati su argomenti di studio, per i pari più in difficoltà; dall’elaborazione e trasmissione di una comunicazione alle autorità comunali, corredata di foto, filmati e documenti, per sollecitare interventi su uno o più problemi del quartiere, alla creazione di testi di sensibilizzazione su problemi specifici legati, per esempio, all’adolescenza o alla cultura della legalità. E così via.

Il grande vantaggio del SL sembra giocarsi su alcuni aspetti fondamentali. Il primo è di carattere motivazionale: il SL offre allo studente la percezione chiara del senso del suo stesso apprendere, che qui trova una sua concreta ed evidente finalizzazione.

Il secondo motivo riguarda la qualità dell’apprendimento: mettersi al servizio della comunità rende situato il processo di apprendimento, cioè coniuga l’acquisizione dei contenuti (anche più astratti) delle varie discipline con la loro dimensione applicativa, rendendo le conoscenze più profonde e significative. La natura inevitabilmente complessa  dei problemi da affrontare contribuisce inoltre a valorizzare l’interdisciplinarità e a strutturare vere e proprie competenze e life skills.

Del resto, qui gli studenti partecipano effettivamente da protagonisti: dall’individuazione e scelta del problema da affrontare, alla progettazione e realizzazione dell’intervento, fino alla riflessione finale sul lavoro svolto. Ovviamente, con l’apporto facilitatore dell’insegnante.

Il terzo motivo è di ordine etico e civile: se mettersi al servizio degli altri diventa parte strutturale del curricolo formativo (e non è solo legato a qualche progetto una tantum), questo atteggiamento diventa nel tempo, per gli studenti, parte del loro modo di affrontare le situazioni e di “leggere” il contesto in cui vivono. Si impara anche ad agire in un’ottica di assunzione di responsabilità, sia individuale che come gruppo di lavoro, in una prospettiva tuttavia che non è di assistenzialismo, in quanto gli alunni operano non solo per ma anche con la comunità, cioè in sinergia con persone che ne sono parte integrante.

Ma c’è dell’altro: quando gli studenti si pongono nell’ottica di rispondere ai bisogni degli altri, anche di persone che non conoscono, attuano un decentramento da se stessi che li protegge maggiormente dal virus imperante dell’individualismo e dell’utilitarismo egocentrico.

Del resto, questo metodo aiuta gli studenti, in un’ottica di orientamento formativo, a scoprire man mano se stessi e le loro predisposizioni, persino certe loro latenti vocazioni. Non a caso, queste attività possono essere successivamente e utilmente inserite nel proprio curriculum vitae.

Gli effetti sono potenti e favoriscono un processo di cambiamento nella persona: gli studenti hanno più facilità a riconoscersi nella propria personalità, a trovare un senso percepibile nella loro vita, a guardare al mondo con una maggiore autostima e percezione di autoefficacia. Importanti antidoti, questi, all’ansia e al malessere psicologico dilaganti nel mondo giovanile.

Alcune meta-analisi (analisi incrociate dei risultati dei vari studi condotti negli ultimi decenni su uno stesso tema) effettuate anche recentemente confermano una discreta ampiezza dell’effetto (Effect Size, da 0.27 a 0.43) del SL su almeno cinque dimensioni centrali del processo formativo: l’atteggiamento degli studenti verso se stessi; l’atteggiamento verso la scuola e l’apprendimento; l’impegno civico; le abilità sociali; il rendimento scolastico.

Tali studi hanno inoltre chiarito che alcuni accorgimenti rendono più efficace questo metodo: a) il lavoro di autoriflessione degli studenti; b) un forte collegamento al curricolo scolastico; c) l’avere i ragazzi e le ragazze voce in capitolo nelle varie fasi di approccio al problema da affrontare; d) il loro lavoro di concerto con la comunità destinataria dell’intervento.

Un aspetto finale, non da poco: è molto probabile che queste esperienze gli studenti non le dimenticheranno facilmente.

V. il sito: https://nylc.org/k-12-standards/ (K–12 Service-Learning Standards -National Youth Leadership Council);

V.: A Meta-analysis of the Impact of Service-Learning on Students;

V.: https://eis.lumsa.it/ (Scuola di Alta Formazione “Educare all’incontro e alla solidarietà” (EIS) – Università LUMSA di Roma).

Il presente articolo fa parte della rubrica Scienze per la Scuola, curata da Giovanni Morello. Vedi anche gli altri articoli pubblicati:

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