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Si chiude l’anno scolastico e ci si chiede: è cambiato il ruolo della scuola?

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Siamo alla fine dell’anno scolastico.

Siamo cioè al momento conclusivo di un percorso scolastico che è stato segnato dalla fine della pandemia, ma anche dal riscontro che questi tre anni hanno comunque segnato la storia dei nostri bambini e ragazzi anche dal punto di vista scolastico e culturale.

Si tirano, dunque, un po’ le somme di un percorso di vita che, si spera, possa avere lasciato, perché esperienza viva, un segno positivo a tutti.

Ora tocca agli scrutini ed esami, quindi alle valutazioni. Sapendo sempre che, prima dei voti e dei giudizi, il cuore della scuola sta tutto nella domanda sul valore della scuola, per imparare che cosa, in vista di che.

Sapendo, poi, sullo sfondo, le tante questioni aperte, soprattutto sul piano educativo.

Quando, ad esempio, c’è un problema tra e negli adolescenti ed i giovani è oggi opinione comune che debba essere la scuola ad intervenire. Come per qualsiasi altra questione.

In passato si chiamava in causa la famiglia, oggi la scuola. Anche perché la famiglia, lo sappiamo, è in difficoltà, quasi frantumata di fronte alle nuove complessità.

Da un lato, quindi, alla scuola chiediamo non solo formazione culturale, ma, prima ancora, capacità di supplenza educativa. Pensiamo ai tanti progetti, chiamati appunto “educazioni”.

Insomma, oggi tutti domandano alla scuola quello che non si è più in grado di garantire: di aiutare i nostri bambini, ragazzi, giovani a trovare la loro strada nella vita.

Sapendo comunque che la responsabilità educativa è e deve rimanere comunque sempre delle famiglie. Per cui è sempre la collaborazione tra scuola e famiglie il vero valore aggiunto.

Ma come può fare una scuola a dare delle dritte educative e culturali ai propri studenti, e quindi alle loro famiglie, se oggi viviamo in un tempo nel quale non ci sono più certezze sul piano conoscitivo, etico, esistenziale, sociale?

Basta dare una scorsa ai social per cogliere il bailamme di opinioni, interpretazioni, punti di vista.

La parola “verità”, cioè, non è più considerata un valore, quasi andata fuori moda: oggi non si parla più del concetto di verità, al massimo di parla di interpretazioni della verità, cioè dei propri punti di vista, cioè di se stessi. Ognuno di noi sembra credersi l’ombelico del mondo: vorremmo parlare della realtà ma finiamo per parlare di noi stessi. Vorremmo dia-logo, in realtà siamo ridotti ad infiniti mono-loghi.

La scuola, dunque, resta oggi forse l’unico terreno comune rimasto di ricerca e rimessa in discussione delle tante opinioni, interpretazioni, punti di vista.

In questo lavoro la scuola adempie al proprio compito, di fare cioè educazione alla ricerca culturale. Su una buona preparazione di base, sempre più difficile da garantire. Per cui la stessa cultura non può essere più intesa come mera trasmissione di presunte verità, ma indicazione di un metodo di ricerca, ai fini del comune loro riconoscimento, ai vari livelli: esistenziale, sociale, scientifica, pragmatica. Secondo le varie materie e i tanti indirizzi di studio.

Facendo così, la scuola riesce a mettere in dialogo generazioni diverse, ma solo se sa trovare dei punti in comune, altrimenti ognuno penserà a se stesso e al proprio tempo come unici. In questo senso la scuola è sempre esperienza di relatività, altra cosa dal relativismo, che è dare per scontato (“tutto è relativo”) ciò che scontato non è (“se tutto è relativo, è relativa anche l’espressione ‘tutto è relativo’”).

Quindi la bravura di un docente non sta in chi pretende di sapere tutto, tanto da limitarsi a trasmetterne il contenuto, ma in chi comunica e fa trasparire il senso della ricerca. Che è ciò che qualifica un “maestro”: chi insegna lascia un segno, indica una strada, ma chiede a ciascuno la responsabilità della libera ricerca. Responsabilità, cioè abilità alla risposta. Cioè la vera competenza.

Quindi la verità nella scuola di oggi non è presupposta, ma richiamata come compito di vita.

Perché senza verità non ci possono essere la scienza, la democrazia, il sapere, la nostra vita quotidiana, e la scuola e l’università sarebbero ridotte a meri bluff. Perché cercare e conoscere se non c’è nessuna verità? La cultura, dunque, non è possesso di informazioni, o cumulo di certezze e specializzazioni, ma è energia di comunione, di rinnovamento, di passaggio di testimone tra generazioni.