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Solo lo Stato totalitario controlla il cittadino? Una proposta didattica per lavorare in classe su: social, algoritmi e fake news

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Come si fa didattica della storia? Ecco alcune proposte di lavoro suggerite dall’esperto di didattica Giovanni Morello nell’appuntamento di educazione civica della Tecnica della Scuola organizzato in occasione della giornata della libertà.

La prima proposta didattica

“Quanto è stato detto a proposito della Germania Est mi fa pensare anche a quanto avveniva in quegli anni, in termini di controllo sulla vita della popolazione da parte della Stasi e del Kgb. Estremamente esplicativo del tema il film Le vite degli altri – suggerisce il professore Morello – Vi si racconta del sistema di controllo delle vite dei cittadini da parte della Germania Est”.

E restringe il campo, centrando l’attenzione su quanto sta avvenendo nel nostro presente e potrebbe avvenire nel nostro futuro: “La frontiera del controllo oggi potrebbe cambiare. Non necessariamente dobbiamo pensare ai sistemi dittatoriali. In che modo oggi si possono controllare le vite degli altri? Nella società post industriale attraverso i big data e gli algoritmi. Sulla rete in qualunque modo ci muoviamo, lasciamo tracce di noi, masse di dati che vengono trasformati in informazioni che hanno un valore economico anche inestimabile. Informazioni usate in tutti gli ambiti da aziende e istituzioni per prendere decisioni fondamentali, in ambito sociale, sanitario, politico, assicurativo, militare”.

“Già commentando i post con i nostri mi piace – spiega – noi generiamo una quantità elevatissima di dati che consente ampi margini di profilazione della nostra persona per chi compra questi dati; e che mette in grado le aziende di progettare campagne elettorali o campagne di marketing incentrate sull’unicità della persona, con un potere di condizionamento che un tempo non era neanche pensabile”.

La proposta didattica? “Gli studenti, dividendosi in gruppi, potrebbero ricercare ed elaborare informazioni su alcuni aspetti: il ruolo degli algoritmi nella gestione della nostra società; la profilazione degli utenti attraverso l’uso dei canali social delle app, delle piattaforme di streaming, della navigazione in rete; l’uso delle informazioni personalizzate per incidere sui consumi, sugli orientamenti, sulle scelte di vita e di voto delle persone; la ricerca delle fake news, alla luce del fatto che si dice che le notizie false girino sei volte più velocemente delle notizie vere”.

“Da dove iniziare? Dal docu-film The social dilemma. I ragazzi potrebbe poi approfondire l’argomento; e infine possono produrre dei materiali (podcast, analisi statistiche, racconti, sceneggiature, narrazioni distopiche, canzoni, testi comici, interviste, fumetti…). Chi meglio delle nuove generazioni – conclude l’esperto – per aiutarci ad abitare il nostro presente?”

La seconda proposta didattica

Una seconda proposta dell’esperto consiste nel proporre agli alunni di consultare le banche dati delle grandi testate giornalistiche (o le banche dati del Senato in alternativa) alla ricerca di articoli antichi, relativi al periodo storico che si intende studiare, per risalire anche agli umori dell’epoca, al sentire sociale, che già dai titoli delle prime pagine viene fuori limpido. Un lavoro sulle fonti, dunque, in grado di mettere gli studenti e le studentesse davanti alla storia dei primi anni del Novecento, ad esempio, come fosse del tutto attuale.

La proposta di didattica del diritto

Un’ulteriore proposta (in realtà più di didattica del diritto che di didattica della storia) arriva da Luigi Mariano Guzzo, docente di diritto dell’Università di Pisa, che suggerisce di tirare in ballo il tanto contestato decreto 162 del 31 ottobre, il cosiddetto decreto anti-rave, tra i primi atti del Governo Meloni.

“Gli studenti hanno ragione quando sono preoccupati che una simile norma possa creare dei problemi anche relativamente alle occupazioni studentesche – spiega l’esperto di diritto – ricordiamoci che questa norma è stata prodotta attraverso una decretazione d’urgenza e probabilmente non si ravvisavano nemmeno casi di necessità ed urgenza su questo tema, perché ribadiamo che il potere legislativo spetta al Parlamento e il Governo non può abusare delle sue prerogative”.

“Per essere una norma penale doveva essere scritta meglio – argomenta – perché la norma penale incide direttamente sulle libertà fondamentali, quindi necessita di tempo sufficiente per essere pensata e poi scritta. Ora il Parlamento ha 60 giorni di tempo per convertire in legge il decreto. Saranno 60 giorni utili per rendersi conto della reale necessità di una norma del genere e per capre come inserire questa norma nel codice penale senza andare a frustrare le libertà fondamentali del soggetto”.

Dunque come lavorare in classe? La sua proposta didattica: “Ecco, magari nelle classi, proprio in questi 60 giorni, si potrebbero attivare laboratori di scrittura delle norme per vedere come si potrebbe scrivere una legge che non leda le libertà fondamentali che studenti e studentesse fanno bene a presidiare”.