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Storia della cultura veneta per gli studenti della Regione

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La storia esce dalla porta, ma rientra dalla finestra, almeno in Veneto.
Mentre cioè è ancora infuocato il dibattito sulla scomparsa della traccia di storia alla prima prova degli esami di maturità, sta avendo, nel contempo, una vasta eco la firma congiunta tra Miur e Regione sulla introduzione della storia locale nelle scuole venete.

La mossa della Regione Veneto

In epoca di “glocalism”, col famoso motto “pensa globale, agisci locale”, la Regione, quasi anticipo della autonomia proposta dai tempi del governo Gentiloni, è riuscita a costruire il primo passo, puntando giustamente al recupero della sua memoria, da studiare ed approfondire nei diversi ordini di scuola. Vedremo, poi, il “come”.
Non è una novità, a dire il vero, perché questa esigenza ha attraversato, in particolare, la storia veneta degli ultimi decenni, grazie a gruppi venetisti locali. Pensiamo qui alla richiesta di riconoscimento del dialetto veneto come lingua, con tutti i canoni propri delle lingue nazionali. Cosa non facile, viste le varianti interne di un dialetto che è, a parte pochi specialisti, solo parlato, ma non scritto. Con diversità dunque di vocabolario e di pronuncia tra paese e paese.

Il curricolo regionale

Quale è il valore aggiunto che questo accordo prevede? Perché, è giusto ricordarlo, le norme già prevedono un “curricolo locale” che le scuole possono attivare, ad integrazione della propria proposta didattica.
Il Miur, in sostanza, mette a disposizione cinque docenti col compito di promuovere e coordinare il piano annuale di questo nuovo insegnamento da offrire alle scuole.
Docenti di storia locale? Con quale classe di concorso e scelti come?
Per preparare una nuova materia? Oppure per semplici UDA, cioè unità di apprendimento specifiche ?
Il parterre dei nostri curricoli, infine, non è già troppo pieno di materie e di contenuti?
Può apparire localistico, e quindi dal sapore già consumato, questo richiamo al diritto-dovere della memoria.

A che serve studia la storia locale?

Io credo che l’esercizio di questo diritto-dovere sia sempre una bella opportunità. Anzi, un dovere: come forma di ringraziamento, e poi di conoscenza, verso chi ci ha preceduto.
Ma attraverso lo studio della storia che cosa noi impariamo, al di lá delle semplici notizie? Impariamo la relatività del tempo. La quale va anche e sempre oltre i confini locali, per aprirsi, a centri concentrici, ai vari livelli di vita.
Per incontrare le persone e le loro vite. La quale ci diede anzitutto una cosa: che il cuore della storia è la cifra della loro fatica quotidiana, della loro sofferenza, nel senso che la storia non la fanno i cosiddetti “grandi”, ma le persone normali, forse anche le più umili, quelle che ogni giorno costruiscono, mattone dopo mattone, dai colori e sapori sempre diversi, la nostra multiforme quotidianità.
Forse così riusciamo a sconfiggere la dominante tendenza alla omologazione, al pensiero unico, che cancella queste storie normali, in nome di una umanità che non esiste. Perché esistono le persone, non l’umanità. E noi non siamo numeri.
Studiando così la storia “dal basso” di questi destini personali e sociali siamo in grado, anche, o soprattutto, di scoprire anzitutto ciò che unisce, e non ciò che divide.
Una storia, quindi, sussidiaria. Il valore positivo delle autonomie locali, segno concreto di quella identità dinamica che ha visto il Veneto presente in ogni parte del mondo, come migranti un tempo ed oggi come interlocutori delle nuove sfide “glocali”.