
Perché la scuola non soddisfa le richieste della società e la società dal canto suo snatura la funzione della scuola? Perché si insiste verso questo declino economicamente svantaggioso e moralmente inaccettabile?
Per spiegare in due semplici parole questa spinosa disfunzione dobbiamo valutare una incongruenza rispetto alla situazione di oggi: nella scuola di una volta entravano, vivevano e dialogavano soltanto alunni e insegnanti. Giusto o sbagliato che fosse, il rapporto pedagogico era questo. Ed era molto semplice, senza alcun fraintendimento.
Oggi purtroppo la questione si è talmente ingigantita che nella scuola entrano tutti, anche coloro che non hanno nessuna attinenza con questa struttura o titolo per parlarne: dai consulenti, agli psicologi, ai magistrati, agli imprenditori, per giungere agli accademici, agli autori di libri, ai giornalisti, persino gli attori parlano, ai carabinieri, poliziotti, per non dire degli infermieri, medici eccetera eccetera.
Troppi e con troppi obiettivi tutti diversi. Troppi che vogliono sostituirsi oppure demandare funzioni di supporto alla scuola. La scuola è certamente cambiata perché il mondo è cambiato e allora, dicono gli esperti, è necessario aggiornarsi altrimenti si corre il rischio di rimanere indietro. A che cosa non è dato capire, certamente alle loro responsabilità.
Può darsi che in questa esigenza si nasconda una richiesta, forse anche giusta, circoscritta da buone intenzioni che possiamo tradurre così: la scuola deve essere al servizio della società. Tuttavia, in questa esigenza si nasconde anche un rischio pericoloso che è molto più di una semplice possibilità: è una realtà ormai acclarata che molti utenti vedono come un ‘diritto acquisito’.
Una scuola troppo pressata dalla società e dai suoi bisogni cogenti di ‘supplenza’ è destinata per forza di cose a perdere la sua vocazione primigenia che è quella di trovare il giusto dosaggio tra insegnamento ed educazione, tra formare l’uomo che sarà un cittadino e formare la testa del cittadino.
Troppo spesso e con molta superficialità, questi agenti esterni alla scuola pensano, o semplicemente pretendono, che la scuola sia solo un grande supplente a tutto quello che nella società latita e che, per questo motivo, sia costretta a risolvere i molti guai che esistono nel mondo esterno a cui la scuola non è preparata né potrebbe.
La famiglia non c’è? Allora deve supplire la scuola. Nella società c’è violenza? Allora deve intervenire la scuola. Non esiste una buona formazione lavorativa per il mondo del lavoro? Allora deve occuparsene la scuola. La sessualità è cambiata? Allora sopperirà la scuola. Non distinguiamo più il genere maschile e femminile, anzi non dovrà più esserci ‘un genere’? Bene, ci penserà la scuola.
Ma siamo proprio sicuri che questa debba essere la scuola? Che la scuola debba provvedere a queste mancanze? In questo palese e indebito scambio di ruoli si genera una confusione pericolosa e una frattura che producono due pessimi risultati: da un lato questa scuola non è in grado di soddisfare le richieste della società, e dall’altro la società in questo modo snatura la funzione della scuola.
La frattura è data dal fatto che si è rotto il patto di mutua co-partecipazione tra la società e i bisogni degli individui che sono e saranno i cittadini di domani, facendo dei docenti dei tuttologi che, anziché formare, devono assolvere la funzione di badanti che non possono badare.
È un’ideologia perniciosa che sta creando ‘rete’, in modo che soggetti interessati si stanno moltiplicando a dismisura con l’infausto atteggiamento di definire regole, tempi, a coloro che dovrebbero provvedere all’istruzione dei loro figli. Ed è l’unico lavoro in cui questo capita: che dei fruitori decidano come essere istruiti e su cosa.
Nessun professionista accetterebbe una cosa del genere come professionista. Ma i docenti non sono visti così: sembrano più un corpo separato nella società. Basta sentire la gente comune (che saranno i futuri fruitori) come parla dei docenti, vedendoli come dei saprofiti sociali, parassiti con molto tempo libero, gente che si è imbucata nella società e tutti i soliti luoghi comuni che seguono.
È venuto meno il rispetto per questa attività. I docenti sono visti come gente che non ‘ce l’ha fatta’. Purtroppo, chi lavora in questo ambito ha già la sensazione che nemmeno più come un lavoratore venga visto, a maggior ragione come un professionista autonomo capace di autodeterminarsi nel proprio lavoro.
Inutile parlare di competenze, titoli, pubblicazioni varie: nessuno percepisce questo come un valore. A volte si ha la sensazione che nemmeno all’interno della propria istituzione si sia visti come un valore aggiunto. Quanti dirigenti realmente conoscono il valore professionale dei loro docenti? Basta che soddisfino le necessità e le priorità del loro mandato, che accettino rendendosi disponibili, che siano silenti e accondiscendenti. Poco altro.
Nelle scuole bisogna ‘fare’, dai progetti di cui non si vede la ricaduta a quelli del PNRR o dei PON e quant’altro. Mentre la vera istruzione cosa diventa? Pura dipendenza da altro che istruzione non è. I collegi sono snaturati a meri luoghi di ratifica di cose decise altrove, in barba ai decreti delegati diventati solo atti ammuffiti, poiché non si discute più, ci si limita a votare.
Un analogo della democrazia rappresentativa odierna. Che lo pensi il mondo sociale è un problema, ma passi. Ma che tutto questo provenga dal mondo interno dell’istruzione, da quanti dovrebbero assicurare il corretto andamento tra istituzione e mondo sociale, va molto meno bene e diventa disdicevole per i frutti bacati che produrrà.
Cosa ce ne facciamo della democrazia, viene da chiedersi. Della libertà d’insegnamento rimane solo un bel principio segnato sulla carta e nulla più. I docenti sono diventati i tuttologi e i badanti di intere generazioni che non hanno più punti di riferimento.
Di chi è la colpa?
Ferdinando Sabatino