
Ci sono aggiornamenti sul caso di un alunno di diciassette anni, con autismo, che è caduto dalla finestra della sua scuola, nel maggio del 2024. L’alunno aveva già alle spalle un tentativo di gettarsi dalla finestra: quel giorno è entrato da solo all’interno della scuola.
Al termine delle lezioni il ragazzo è rimasto di nuovo da solo, mentre l’insegnante di sostegno si è allontanato per pochi minuti. Il 17enne purtroppo si è lanciato nel vuoto. Diciassette mesi dopo, lo studente non muove ancora le gambe. Forse non le muoverà più.
La ricostruzione dei fatti
Quando è suonata la campanella, la classe si è svuotata e il ragazzo è uscito con i suoi compagni. Non è andato verso lo scuolabus, come ogni giorno. Ha iniziato a girovagare tra i corridoi dell’istituto, fino al quarto piano. Nessuno lo ha notato. Poi l’autista del pulmino scolastico, che lo attendeva per tornare a casa, ha chiamato i genitori: “Vostro figlio è andato a scuola?”. A trovarlo è stato un compagno: era disteso sull’asfalto, in gravi condizioni.
Come riporta La Repubblica, l’insegnante di sostegno rischia il processo. La procura ha chiesto che venga rinviata a giudizio per abbandono di persona incapace e lesioni gravissime: il ragazzo non doveva restare solo. Dalle accuse si difenderà l’insegnante in aula.
“Culpa in vigilando”: cosa significa e come può entrare in gioco in casi come questo
Per comprendere se vi siano responsabilità giuridiche della scuola — penali o civili — è utile conoscere il concetto di culpa in vigilando.
Come già riportato in alcuni nostri articoli, la culpa in vigilando è la responsabilità che ricade su chi ha il dovere di sorvegliare, qualora la mancata vigilanza provochi danni. È una forma di responsabilità presunta: non serve dimostrare che chi vigilava fosse colpevole in senso soggettivo, ma che non abbia adempiuto all’obbligo oggettivo di sorveglianza.
Il riferimento normativo principale è l’articolo 2048 del Codice Civile italiano, secondo cui i genitori, i tutori e chi ha comunque diritto o dovere di vigilanza sugli alunni rispondono dei danni causati da questi, salvo che provino di non aver potuto impedire il fatto (la cosiddetta prova liberatoria).
La prova liberatoria consiste nel dimostrare che:
- sono state adottate tutte le misure necessarie di vigilanza;
- l’evento dannoso era imprevedibile, improvviso e inevitabile, al punto che non poteva essere impedito neppure con la diligenza richiesta.
Nel contesto scolastico, questo obbligo si estende non solo durante le lezioni, ma anche in tutti gli spazi e momenti in cui gli alunni si trovano sotto la responsabilità della scuola: cortili, spazi comuni, spostamenti interni, ricreazione, uscita dalla scuola, attività esterne, etc.
Vi sono, inoltre, elementi che possono modulare la responsabilità:
- l’età e il grado di maturazione dell’alunno: più un alunno è piccolo o in condizioni di grave disabilità, maggiore è il grado di vigilanza richiesto.
- il numero di alunni affidati a ciascun insegnante e la presenza di risorse (altre persone che possono aiutare nella sorveglianza);
- la prevedibilità del rischio: se si vedono segnali che qualcosa potrebbe accadere, intervenire tempestivamente è richiesto.
Sarà compito della magistratura accertare se la scuola e i singoli docenti abbiano adempiuto al loro dovere con la diligenza richiesta, se si siano adottate misure preventive adeguate, e se il danno fosse evitabile. Se sì, la scuola potrebbe essere responsabile civilmente e/o penalmente per culpa in vigilando; se invece riuscissero a dimostrare che nulla avrebbe potuto impedire l’evento, potrebbero difendersi con la prova liberatoria.




