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Bologna, il Comune ignora il referendum: il finanziamento alle paritarie rimane

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Nessuna sorpresa: a poco più di due mesi dal referendum bolognese sulla laicità dei tutt’altro che simbolici finanziamenti comunali – circa un milione l’anno – alle scuole d’infanzia paritarie, il Comune di Bologna ha deciso che il sistema delle convenzioni adottato dal diverso tempo nel capoluogo emiliano non sarà cancellato: l’ esito del referendum consultivo dello scorso 26 maggio apre però una crepa nella maggioranza di centrosinistra che sostiene il sindaco Virginio Merola.
La decisione di non modificare sistema di finanziamento che era stato messo in discussione con il referendum, a cui però aveva partecipato nemmeno un cittadino ogni tre – votò il 28% degli aventi diritto e poco meno del 60% chiese però al Comune di abolirlo – è arrivata per volere del Pd, ma anche Pdl e Lega. I quali, in tal modo, hanno fatto decadere un ordine del giorno di tenore opposto, presentato da Sel, M5S e dall’ex cinque stelle Federica Salsi che chiedeva, sia pure gradualmente, di eliminare questo finanziamento.
I promotori del referendum protestano: il comitato articolo 33, che ha chiesto e sostenuto la consultazione, ha annunciato di essersi sciolto e ha invitato provocatoriamente il consiglio comunale a togliere dallo statuto l’istituto del referendum consultivo. Ma lo scontro che rischia di lacerare maggiormente è avvenuto dentro la maggioranza che fin qui aveva sostenuto Merola senza particolari fibrillazioni. “La scelta del Pd di votare in asse con il Pdl – ha detto in aula Cathy La Torre, capogruppo di Sel – è uno schiaffo che i nostri cittadini non dimenticheranno”.
La seduta del consiglio comunale chiamata a votare è stata anche interrotta per almeno tre quarti d’ora da una protesta dell’Usb Scuola che chiedeva il rispetto del referendum, protesta che peraltro si è saldata a quella dei contrari all’aumento del biglietto dell’autobus. Qualche decina di manifestanti ha esposto striscioni e urlato “vergogna” e “rispettate la volontà popolare” all’indirizzo dei consiglieri.
Di parere opposto il sindaco Merola, secondo cui “anche in questo momento di difficoltà – ha detto – avremo per le scuole materne pubbliche 4,5 milioni di spesa corrente in più, cinque milioni di investimenti e 600mila euro resi disponibili dal fatto che lo Stato metterà a disposizione di Bologna 21 insegnanti in più. Questo credo sia il modo migliore per tenere conto del risultato del referendum. Credo che si possa rinunciare a qualche principio per poter raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle liste d’attesa”.
A Bologna, in pratica, si replica quanto accade a livello nazionale: seppure in periodo di forte crisi economica, con i finanziamenti per le scuola statali ridotti all’osso e i tagli all’istruzione sempre dietro l’angolo, i fondi che lo Stato (o gli enti locali) concedono alle scuole paritarie rimangono inalterati. Anche quando la maggior parte dei cittadini vorrebbero il contrario. Viene da chiedersi, per concludere, a cosa è servito fare un referendum. E, soprattutto, se i soldi spesi per sostenerlo e organizzarlo non potevano essere destinati alla scuola. Magari quella pubblica.