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C’era una volta…la scuola serale!

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Se le altre città seguiranno l’esempio di Lamezia Terme, dove i presidi continuano a chiudere a cuor leggero classi di scuole serali, molto presto potremo dire addio alla formazione degli adulti. E il diritto allo studio per tutti i cittadini di ogni età e condizione sociale resterà una “favola” che potremo raccontare così.
C’era una volta, nella Pubblica Amministrazione, un servizio che garantiva istruzione alle persone adulte: la scuola serale. Nata nell’ottica di una formazione permanente, essa visse un tempo felice, vedendo crescere, di anno in anno, la propria utenza. Un ruolo importante, quello delle scuole serali, che contribuivano ad innalzare il livello culturale della popolazione adulta e ad agevolare l’integrazione sociale degli stranieri.
Certamente, i corsi per lavoratori (come ogni altro servizio), non erano immuni da critiche. Anche su di essi incombeva l’anatema del “bicchiere mezzo pieno”. C’era chi, sotto il profilo culturale, reputava quelli della notte come “figli di un dio minore”. Un luogo comune portato alla ribalta da un noto politico dalla “battuta” facile, il quale, durante un’apparizione televisiva, per sminuire il conduttore ospite, disse: “Ma lei si è laureato alle serali?”. Come se il ritardo della scuola italiana nei sondaggi europei sulle competenze linguistiche e scientifiche fosse colpa degli studenti “serali”.
Altri, invece, pur riconoscendone i limiti, vedeva non nelle scuole serali un’importante risorsa della società, che offriva a lavoratori e disoccupati la possibilità di studiare, accrescendo le proprie conoscenze e competenze professionali, seguiti da docenti affermati non solo nell’insegnamento, ma anche nella ricerca e nelle professioni.
Un giorno però arrivò l’orco della crisi egli amministrato ripensarono bene che fosse giunta l’ora di sfrondare l’albero della cuccagna. Così, iniziarono a ingegnarsi su dove poter mettere le mani per sforbiciare gli sprechi. E dal momento che, per tradizione, ogni Governo deciso a fare pulizia nei conti pubblici comincia col colpire la scuola, anche in questo caso chi fu preso di mira? I corsi serali. Come se, fra tanti “rami secchi” il più inutile fosse proprio questo strumento prezioso di riqualificazione culturale. “Prezioso” dal punto di vista sociale, intendiamoci. Perché, economicamente parlando, l’incidenza dei corsi serali sulla spesa pubblica era irrilevante.
Il “disegno”, però, non prevedeva una soppressione brusca, ma un graduale smantellamento. Si studiarono, dunque, delle soluzioni “politicamente corrette”, che avessero più la parvenza di manovre finalizzate a migliorare il servizio che di un “chiudere bottega”.
Il primo a provarci fu un esperto di economia, Romano Prodi, che escogitò la conversione dei serali in Cpia, Centri per l’istruzione degli adulti. In sostanza, i corsi serali dovevano essere accentrati e gestiti da poche strutture sparse sul territorio, dotate di autonomia didattica e amministrativa. L’invenzione fu inserita in un decreto, che non trovò (immediata) attuazione.
Fallito il primo tentativo, ci riprovò un noto imprenditore. Il cavalier Berlusconi, distintosi per le sue battaglie in favore della scuola (privata, naturalmente!), fece una grande riforma finalizzata a razionalizzare la spesa pubblica con tagli drastici del personale, accorpamenti di discipline, di scuole, di classi, e chi più ne ha più ne metta. Tale strategia “caput” (dalle ricadute didattiche assai discutibili) non risparmiò neppure le scuole serali, che avrebbero dovuto cedere il posto ai Cpia. Ma, ancora una volta, senza successo.
Finalmente, giunse in soccorso un noto professore, Monti, con il tanto atteso programma di revisione della spesa pubblica. E chi poteva finire sotto la mannaia della “spending review”? Risposta scontata. I serali erano destinati a sparire, mentre i Cpia furono inseriti a pieno titolo nella legge, per entrare in funzione dal 2015. E buonanotte all’istruzione degli adulti, con buona pace dei “paladini” del pubblico risparmio.
Non potrà essere che questo il triste epilogo per tanti studenti lavoratori, che già adesso fanno i salti mortali per conciliare lo studio con i propri impegni lavorativi e familiari e non possono certo sentirsi incoraggiati dalla prospettiva di dover viaggiare tutti i giorni per seguire le lezioni. Tra l’altro, sottoposti ad un rigido sistema di accumulo crediti, in barba ai tanti sforzi di accoglienza fatti finora dai docenti per offrire loro un contesto scolastico flessibile e motivante. Sempre ammesso che partano davvero questi Centri, onerosi, confusionari e di difficile attuazione.
Forse la mia è la visione pessimistica di un’addetta ai lavori che assiste con grande dispiacere alla chiusura di scuole serali dove ha avutola gratificazione di lavorare con persone serie, volente rosee stimolanti. Alle quali ha insegnato qualcosa, e dalle quali ha imparato quanti sacrifici può costare conseguire un diploma in età adulta.
Con dispiacere, si, ma anche con la preoccupazione che, se i presidi continueranno a premere sul pedale della soppressione, i più svantaggiati (economicamente) getteranno la spugna, per una sorta di selezione darwiniana, mentre solo i più “equipaggiati” andranno avanti. Magari convincendosi che il modo più “comodo” per raggiungere la meta, aggirando la ginkana di esami di idoneità, percorsi integrativi e quant’altro, sarà quello di aprire il portafoglio e bussare alla porta di qualche scuola privata. E qui ci ritorna in mente la morale di un noto “Robin Hood” che toglieva ai poveri per dare ai ricchi. Ma questa è un’altra storia!