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Carrozza: “L’obiettivo non è ridurre i docenti”. Gli esiti del seminario alla Camera

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Lo pubblica il Corriere della Sera. Il pensiero della ministra è per lo più noto: “Non ho idee preconcette sulla sperimentazione e non sono neppure interessata a vincere la battaglia della riduzione di un anno o della riorganizzazione dei cicli”; il punto cruciale è “che la scuola torni a formare le persone consentendo loro di realizzarsi e di trovare il giusto percorso in base alle proprie aspirazioni e attitudini”.
Ma c’è anche un altro nodo assai importante e su cui il confronto non sarà leggero, quello cioè che la riduzione di un anno innescherebbe la conseguente riduzione del numero di insegnanti a tutto beneficio delle casse disastrate ormai del Miur.

Dice a questo proposito Milena Santerini, componente della commissione Cultura alla Camera e organizzatrice del seminario: “A noi interessa mettere lo studente al centro. Non dobbiamo cambiare solo per allinearci agli altri Paesi europei ma per sperimentare nuove modalità di formazione e di accompagnamento al mondo del lavoro”. Occorre ripensare tutto il percorso: per esempio, “organizzare l’anno risparmiato come un passaggio ancora formativo ma più specifico, o a metà tra formativo e lavorativo” in vista della scelta universitaria o professionale.

Sulla stessa linea Andrea Gavosto, della Fondazione Agnelli, che, scrive il Corriere, si dice «favorevole alla riduzione da 13 a a 12 anni del percorso scolastico ma non perché bisogna “allinearsi” all’Europa e neppure solo con l’obiettivo di risparmiare. Favorevole perché si possa ripensare l’insegnamento, i programmi, i cicli scolastici».
Gavosto fa riferimento alla sperimentazione attuata con successo in Ontario (Canada), dove a dieci anni di distanza dal liceo a 4 anni, i ragazzi sono meglio formati e più consapevoli delle scelte future. “Il 40 per cento per esempio decide di utilizzare l’ultimo anno di scuola per continuare a studiare e approfondire materie di interesse pensando all’università, oppure per lavorare part time”.

Mario Dutto, Cattolica di Milano, cita l’esperienza del Galvani di Bologna, e punta «da un lato sulla trasparenza del percorso formativo e dei suoi sbocchi in modo che lo studente sappia che cosa potersi aspettare al termine della scuola, dall’altro sulla possibilità di utilizzare quell’anno per approfondire, creare gruppi di lavoro ad hoc, impegnare i docenti liberati dal percorso classico su micro classi con obiettivi specifici e delineati». 
D’altra parte, come molti ricorderanno, nel vecchio Istituto magistrale, e prima quindi del Liceo psicopedagogico, il percorso di studio durava 4 anni nel corso del quale si studiavano materie impegnative, essendo un sorta di mix tra il liceo scientifico e classico, ma con un orario settimanale di lezione assai più pesante se rapportato ai licei.
Fra l’altro il diploma consentiva, e ancora se ne avvertono gli strascichi coi Tfa e i Pas, di partecipare ai concorsi per insegnare alle elementari, mentre dava l’accesso alla sola facoltà di Magistero.
Una sperimentazione dunque già c’è stata, sia in termini di curriculo e sia in termini di risultati conseguiti.
Ciò che tuttavia è anche bene fare rilevare che con la soppressione dell’Istituto magistrale furono soppressi pure i 4 anni, adeguando così il nuovo liceo psicopedagogico ai 5 anni di tutti gli altri corsi di studio, nella convinzione appunto che il magistrale fosse una anomalia. Oggi sembra invece che il mondo si sia capovolto e che siano stati tutti gli altri istituti “anomali”.