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Come promuovere il benessere nella scuola di oggi? Perché non c’entra solo la didattica? L’esperienza di un dirigente

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Giovanni Cogliandro, dirigente scolastico e docente universitario, un resoconto del Congresso nazionale di Pedagogia dell’Inclusione, svoltosi qualche giorno fa, a cui ha partecipato.

Qualche giorno fa sono stato invitato dall’Università di Danzica (Polonia) a partecipare al loro Congresso nazionale di Pedagogia dell’Inclusione, unico relatore non docente presso le Università di quella nazione.

Ho tenuto un intervento in cui ho sintetizzato in inglese alcune mie convinzioni filosofico-pedagogiche e insieme alcune pratiche che mettiamo in essere presso la nostra Scuola grazie al lavoro eccellente di tanti docenti.

Essere Scuola oggi significa essere costruttori di affettività e socialità: la capacità di interagire con gli altri, il sapersi amati che genera capacità di amare, sono alcuni elementi fondamentali per l’essere umano poiché garantiscono la fioritura della persona in contesti di comunicazione vera. L’esperienza scolastica coniuga tali bisogni elementari con l’impegno a promuovere la centralità della persona e i diritti presenti nella nostra Costituzione.

Scuola e Cittadinanza

La scuola viene sovente presentata nei dibattiti pubblici e pensata in primo luogo dal punto di vista della didattica, ma la scuola non è solo didattica, bensì è organizzazione complessa e articolata di persone con loro aspettative, desideri, vissuti, dolori e gioie da condividere e mettere al servizio della comunità educativa.

Oggi i nostri studenti sembrano – già a partire dai dieci anni, all’inizio della scuola secondaria – essere vittime di uno squilibrio tra un apparato cognitivo esteso, potenziato dai tanti strumenti dell’intelligenza artificiale, e una sensibilità destrutturata per quanto concerne l’interazione con il mondo fisico e i bisogni affettivi e sociali che costituiscono la personalità di ciascuno di noi.

Il cyberbullismo che si è sviluppato negli ultimi anni è più aggressivo del bullismo concreto perché – come nella guerra a distanza – il bullo non vede l’effetto della violenza da lui agita, non vede la sofferenza che infligge in tutto il suo concreto dispiegarsi.

Il dibattito pubblico sulla scuola, pur fecondo, rischia di fagocitare il pensiero critico e propositivo nella sterilità di dibattiti pubblici e semipubblici (come sulle chat social dei genitori) senza fine, nei quali non si pensa alla fine dell’accelerazione, in una pseudo-istituzionalizzazione di una logica che somiglia alla logica dell’accumulazione di capitale.

La Scuola assurge al posto che le spetta di istituzione irrinunciabile e costitutiva della forma di Stato repubblicana, realtà sociale che interseca il principio costituzionale di sussidiarietà con l’apertura alla meraviglia declinando in forme sempre nuove il compito sorgivo di insegnare la contemplazione del bello come fonte inesauribile e sempre nuova di sentirsi parte di una Comunità.

Educare alla bellezza e alla meraviglia

La continua scoperta della meraviglia e di legami di affetto fuori dalla propria famiglia che si costruiscono a Scuola (la definirei con la parola greca del verbo meravigliarsi cara ad Aristotele un rinnovato thaumazein scolastico), ci salverà a mio parere dal dramma senza senso di sfide false, sfide solo di nome, challenge sterili e mortifere. Al contempo educare alla cittadinanza è partire certamente da contenuti ma prima ancora dalla meraviglia di scoprire legami veri, amicali e autentici con i propri compagni di classe e con i propri docenti, che possa offrire orizzonti di senso e bellezza che siano valide alternative allo stordimento di sfide sempre più estreme che, come la foga di accumulo di ricchezza e di like, esprimono solo un’abissale solitudine.

Un’altra dinamica che sta dando frutti copiosi è l’opzione per l’Educazione alla bellezza come nostra peculiare declinazione dell’educazione civica, una pratica didattica inserita da due anni nel PTOF del nostro Istituto che abbiamo presentato nel 2021 all’evento Didacta che ogni anno viene organizzato dall’Indire.

La Scuola è stata sempre percepita come lo specchio della comunità che la generava. Questo valeva già per la prima scuola istituita di cui si abbia notizia, la confraternita dei pitagorici, il cui scopo era l’iniziazione dei giovani a un bios theoretikos, inteso come stile di vita capace di elevarsi al di sopra del mero perseguimento dell’utile, come è stato ben rilevato da Platone e Aristotele.

Cercare di perseguire con passione un percorso di intersezione tra insegnamento, narrazione ed esperienza della filosofia, allo scopo di trovare punti di incontro tra i trascendentali pulchrumbonum e iustum (bello, buono, giusto) per quanto mi riguarda è una scelta che sta dando frutti importanti per la formazione dei docenti e per renderli più coscienti di essere una comunità. In tale percorso di ricerca sulle pratiche e di formazione continua dei nostri docenti abbiamo fatto uso di argomenti tipici della tradizione filosofica classica, pensando e descrivendo la bellezza come un anelito e un bisogno primario di ciascun essere umano.

L’educazione, come evidenziato da Schiller, Schelling e altri filosofi, è estetica, oppure non è. Da qui la compartecipazione di polis e aisthesis, che costituisce l’ambizione che viene espressa nel nostro PTOF e nel Piano di Formazione dei nostri docenti.

La costruzione armonica di una città include oggi il pensiero della Scuola, non più aristocratico ginnasio o liceo, ma espressione delle prime esperienze di una comunità da parte di piccoli uomini e donne che si stanno formando in quanto tali. Si tratta di un primo legame che va ad affiancare quello degli affetti e delle empatie familiari. Gli alunni quindi percepiscono il rapporto con i docenti come educazione alla cittadinanza ed educazione all’armonia, se esso viene impostato ed espresso nella modalità della bellezza e della fiducia più che in quella dell’autorità, neutralizzando il consueto e tradizionale paternalismo dell’istituzione scolastica a favore di un rapporto fondato più sull’empatia che sul timore, e quindi su un rispetto basato sulla meraviglia,  che non è rispetto di una gerarchia, ma di un volto e di una persona.

A questo proposito mi piace ricordare e rinnovare il nostro impegno a che l’eterogeneità culturale degli alunni sia considerata una preziosa characteristica della nostra scuola per costruire nuovi orizzonti di senso nelle proposte didattiche, assurgendo a preziosa e imprescindibile risorsa di arricchimento culturale, relazionale e umano.

Inclusione e sorriso

La positività dell’essere Scuola si esprime nell’impegno a rendere sempre più inclusive e accoglienti le nostre Scuole e nel voler continuare a narrare, a descrivere la nostra esperienza di vita scolastica con gioia e curiosità sempre rinnovati, qualunque sia il proprio ruolo, studenti, docenti o presidi.

Con singolare ironia non cercata è noto che persona significa maschera del teatro classico, e i nostri volti ancora mascherati, nascosti, costretti nella maschera ci dicono l’eccedenza della persona proprio in quello che la contiene.

Occorre a mio parere ripartire nella Didattica dal sorriso e dal volto, un volto che mostra l’essere persona che non vuole lasciarsi costringere oltre il necessario ma mostra che la relazionalità essenziale al volto non potrà essere soppressa. Ripartire quindi dallo sguardo e dal dialogo, così fondamentali nel consentire lo scambio di parole e lo scambio preverbale che fornisce quel supporto emotivo a ciò che si vuole significare e che viene perso negli scambi scritti fintamente dialogici che affannano le menti e distolgono dall’autenticità che rimane potenziale.

Il fondamentale tratto umanistico della Scuola la indirizza ad essere luogo di benessere, oltre l’utilitarismo e il normativismo, attuando un’etica eudaimonistica propria di una pedagogia ricca di empatia, un luogo di relazioni che si proietta verso un nuovo umanesimo, per non cadere sotto gli attacchi della crescente barbarie nelle relazioni dentro e fuori le famiglie.

La gestione del sistema scolastico dovrebbe scoprire la centralità della dimensione del benessere che deve caratterizzare lo stile educativo di ogni comunità scolastica. Il clima di benessere è allo stesso tempo presupposto e punto d’arrivo: è necessario un intenso lavoro sugli aspetti delle relazioni e della comunicazione interpersonale affinché si stabilizzi un clima positivo che sappia restare saldo al sopraggiungere di imprevisti.

Questo il compito di una scuola che si vuole comunità di persone, comunità dialogante, e per questo educante, comunità dove gli sguardi rimandano ai volti, specchio dell’altro e dell’incontro quotidiano in tutta la sua ricchezza emozionale, continua meraviglia dello scoprirsi e dello scoprire insieme.

Giovanni Cogliandro