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Contratto: l’esito del referendum allarga lo strappo tra i Confederali

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Per la Flc-Cgil il referendum tra i lavoratori sul contratto avrebbe dovuto mettere in chiaro un concetto: l’insoddisfazione della base lavorativa per un rinnovo insoddisfacente, nemmeno in grado di coprire il tasso d’inflazione, e soprattutto troppo frettolosamente avallato dagli altri sindacati. E così è stato: ben 351mila lavoratori, sui quasi 377mila che attraverso 6mila seggi hanno partecipato al referendum sindacale, hanno infatti respinto quella scelta di piegarsi in toto alla proposta del Governo.
Per la Flc-Cgil si è trattato di un segnale forte, oltre che “trasparente”, che rappresenta il malcontento della categoria: così netto da giustificare un altro sciopero, il terzo in meno di cinque mesi.
Ai lavoratori della scuola, assieme a quelli di università, ricerca, alta formazione artistica e musicale, nei prossimi giorni verrà così chiesto di fermarsi mercoledì 18 marzo e partecipare a manifestazioni di carattere territoriale.
La decisione del sindacato della conoscenza Cgil ha però acuito lo “strappo” con le altre organizzazioni sindacali sino a pochi mesi fa amiche. Soprattutto con la Cisl, l’organizzazione attraverso cui, a livello confederale, ha avuto origine, in estate, il distacco per il noto dissenso di vedute sulla gestione del caso Alitalia.
Oggi, a distanza di sei mesi, la frattura è ancora tutta lì. Anzi si può dire che è diventata scomposta. Per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, le cifre fornite dalla Cgil sulla contrarietà dei lavoratori della scuola al rinnovo del contratto non sarebbero affatto indicative. “Epifani ma non è arbitro né notaio di tutti. Ha ragione sui propri iscritti. Dico a Epifani che i problemi sono altri e farebbe bene a porseli”, ha chiosato Bonanni.
Decisamente freddo anche il segretario della Cisl Scuola Francesco Scrima, secondo cui la Cgil “ha scelto il gioco facile di sollecitare un ‘no’ che fa leva sull’insoddisfazione, ma non propone niente di realistico in cambio. Troppo comodo disdegnare un contratto, godendone comunque i benefici, per quanto modesti”.
“Riconfermiamo il nostro giudizio – ha aggiunto Scrima – questo referendum assomiglia più ad un atto di propaganda che a un gesto di democrazia. Non era mai accaduto che un sindacato chiamasse i lavoratori a pronunciarsi contro gli altri sindacati: un gesto grave di divisione e rottura”. Contro una decisione che per i firmatari è sembrata essere, visto il momento difficile, la meno peggiore: “Non era possibile, oggi, ottenere un contratto migliore di quello che abbiamo sottoscritto. Per questo ci siamo assunti la responsabilità di firmarlo”, ha spiegato ancora Scrima.
Insomma la strada per ritrovare l’armonia sindacale, auspicata la scorsa settimana anche dal coordinatore della Gilda, Rino Di Meglio, sembra davvero lontana. Tanto è vero che il 18 marzo la Flc-Cgil rischia fortemente di andare allo sciopero da sola: salvo ripensamenti dell’ultimo momento non ci saranno nemmeno i sindacati più piccoli, Cub, Cobas e Unicobas, che per esprimere le loro rimostranze hanno già puntato su altre date. A fianco del sindacato di Pantaleo dovrebbero schierasi solo gli studenti, almeno quelli dell’Unione e della Rete, e le associazioni dei precari. Più qualche associazione e i sempre-vivi comitati anti-Gelmini.
Il rischio di incorrere in un altro 13 dicembre, quando aderì meno di un lavoratore su dieci, non sembra però preoccupare la Cgil. Il malessere per un contratto inadeguato, ma anche per l’accordo quadro del 22 gennaio sul modello contrattuale e per i tagli a 360 gradi sarebbero motivi più che sufficienti per incrociare le braccia. Lo stesso dato che al referendum avrebbero partecipato quasi 250mila dipendenti in più, tra docenti ed Ata, rispetto agli effettivi iscritti alla Flc, starebbe a significare che l’insofferenza per come stanno procedendo le cose nella scuola è sempre alta:“la migliore risposta – ha fatto sapere il sindacato – a coloro che nelle scorse settimane ci avevano accusato di fare demagogia e che ci avevano spinto ad una operazione trasparenza“.
Mimmo Pantaleo parla di “numeri straordinari” di contrapposizione verso una politica “del tutto insufficiente a recuperare il potere d’acquisto dei salari, a dare risposte al problema dei precari”, a giustificare gli “scarsi investimenti” per istruzione ed università.
Argomenti caldi e di attualità, su cui si è soffermato anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in occasione del discorso per le celebrazioni dei 700 anni dell’Università di Perugia: il Presidente ha parlato di “tagli indiscriminati” che rischiano di portare alla”dispersione di talenti e risultati del nostro sistema scolastico e universitario” e che troppo spesso “non sono tradotti in occasioni di lavoro e di sviluppo”. Per Napolitano serve “un’accurata politica che sappia tenersi saggiamente in equilibrio tra il rigore della spesa e la necessità dell’investimento lungimirante”. Immediate le difese del Ministro Renato Brunetta: “non ci sono stati tagli indiscriminati, anzi, abbiamo salvato l’Italia con la manovra di luglio 2009-2011 pari a 36 miliardi di euro”. Seguito da collega del Miur Gelmini: “la crisi economica internazionale deve trasformarsi in una grande opportunità per rivedere il sistema di Istruzione in Italia, un sistema in cui il problema principale non è quanto si spende ma come vengono spese le risorse pubbliche”. Che in ogni caso si stanno sempre più riducendo.