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Decurtazione stipendio in caso di malattia, dubbi di costituzionalità

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La norma che ha introdotto la decurtazione in busta paga per i primi 10 giorni di assenza sarà presto al vaglio dei giudici della Corte Costituzionale: il rinvio dell’articolo, voluto dal ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, contenuto nel D.L. 112/2008, convertito nella legge 133/2008, è stato deciso ad agosto dal giudice del lavoro Jacqueline Magi, che ha esaminato il ricorso promosso dai legali dell’Unicobas.
Nell’ordinanza di trasmissione depositata ad agosto e resa nota il 13 settembre si legge che “il D.L. 112 risulta in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione il quale tutela la persona e la sua dignità, e stabilisce il principio generale di eguaglianza dei cittadini di fronte all’ordinamento. L’art. 71 del citato decreto, applicabile ai soli lavoratori del settore pubblico (…) determina un’illegittima disparità di trattamento nel rapporto di lavoro dei lavoratori del settore pubblico rispetto a quelli del settore privato”. Infatti nel settore privato non è prevista tale decurtazione dello stipendio in caso di malattia.
Ma le motivazioni che mettono in dubbio la costituzionalità della norma sono anche altre. Per il magistrato ci sono gli estremi per “la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale dell’art. 71, in relazione agli artt. 3, 32, 36 e 38 della Costituzione”. Secondo il giudice Magi “il lavoratore legittimamente ammalato, si trova privato di voci retributive che normalmente gli spetterebbero in funzione del suo lavoro, subendo pertanto una riduzione dello stipendio in busta paga. Riduzione che, dati gli stipendi che percepiscono ad oggi i lavoratori del comparto pubblico, diventa tale da non garantire al lavoratore una vita dignitosa. Di fatto la malattia diventa un ‘lusso’ che il lavoratore non potrà più permettersi”.
Citando l’articolo 32 della Costituzione, il giudice del lavoro reputa che “la norma in questione, incidendo pesantemente sulla retribuzione del lavoratore malato, crea di fatto un abbassamento della tutela della salute del lavoratore che, spinto dalle necessità economiche, viene di fatto indotto a lavorare aggravando il proprio stato di malattia”. Soddisfatto per l’esito del ricorso è sicuramente Stefano d’Errico, coordinatore nazionale Unicobas, secondo il quale siamo di fronte ad “una prima vittoria di quei lavoratori che appena uscì questa norma liberticida, oltre a manifestare e scioperare si rivolsero al tribunale per ottenere giustizia. Siamo coscienti di aver vinto per ora una battaglia e non ancora la guerra ma siamo sulla buona strada e non ci fermeremo finché vedremo calpestati i diritti dei lavoratori”.