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Dipendenza da dispositivi elettronici: liberarne i giovanissimi è un miracolo riservato alla Scuola

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Quale funzione ha la Scuola? Istruire? Educare? Preparare al lavoro? . La Scuola può (e quindi deve) liberare le persone, rendendole indipendenti. Da cosa? Dall’ignoranza, dagli stereotipi, dalle dipendenze dovute a stereotipi e ignoranza.

Oggi si dipende sempre più da mezzi telematici e nuove tecnologie: dipendenze che affliggono di più i giovanissimi, perché privi di strumenti culturali; ma non solo. Sono gli adulti a dare il cattivo esempio. Per le scale, in strada, al volante, nei mezzi pubblici, letteralmente ovunque, si vedono adulti isolati dal contesto reale e travolti nel vortice virtuale. Cuffie alle orecchie e pupille incollate allo schermo, potrebbero affrontare un bombardamento o un uragano senza accorgersene, beatamente assorbiti da filmati, chat, videogiochi, serie TV, social media e via ipnotizzando.

Affascinanti tecnologie da fantascienza, usate per soggiogare

Di chi la colpa? La mentalità calvinista di origine anglosassone, ormai dominante anche da noi, dopo aver generato (non creato) il neoliberismo, porta tutti a snobbare chi ”esagera” col cellulare, colpevolizzandolo: come con le tossicodipendenze, la cui colpa affibbiamo ai viziosi tossici, anziché a chi sulle tossicodipendenze lucra miliardi e strapotenza. Si semplifica il problema, accollandone la colpa alle vittime che «se la sono cercata», o invocando leggi draconiane per punirle e contenere il fenomeno.

Si dimentica, in realtà, che le tecnologie in questione sono escogitate e progettate (e apparentemente regalate) da poche aziende con l’intento precipuo di crearne dipendenza. Le medesime aziende vi hanno investito miliardi, ricavandone in cambio migliaia di miliardi. La tecnologia in sé non sarebbe affatto negativa: negativo è però certamente l’uso che ne è stato fatto.

Dipendenza e sfruttamento: in una parola, neoliberismo

In passato abbiamo spiegato come sarebbe stata diversa la rete internet se non fosse stata immediatamente privatizzata. In pasto agli investitori, è diventata la grande prateria dei loro immensi profitti, cui si è sacrificata l’utilità collettiva. Dietro l’apparente gratuità, si cela il mercato dei dati personali, venduti agli inserzionisti pubblicitari. Chi fabbrica i device e le app ha un unico scopo: tenerci incollati agli smartphone e saccheggiare i nostri dati personali, onde profilarci e darci in pasto agli inserzionisti.

I device, che tutti maneggiano, son costruiti da pochissime multinazionali, secondo i medesimi criteri economici e industriali: devastazione della natura, schiavitù dei lavoratori e inquinamento, col favore di governi locali condiscendenti e collusi. La produzione mondiale è stata omologata, rendendo impossibili apparecchiature ecologiche, solidali ed eque, perché la logica del massimo profitto le mette fuori mercato. L’omologazione limita e definisce i software: spesso inefficienti, fallati, friendly e opachi, essi sono fatti in modo da non poter esser compresi, imitati, corretti. E pensare che il web era stato glorificato come dimensione dei saperi condivisi!

Un mercato totalmente conformato agli interessi di pochissimi

Abbiamo tra le mani apparecchi cui non si può cambiare nessun pezzo (batteria compresa), così da doverli ricomprare al minimo guasto. “Per la vostra sicurezza”, ci dicono, mentre i nostri dati (e il dispositivo stesso) vengono continuamente tracciati, controllati, registrati, in barba alla riservatezza (e sicurezza) personale. Tutto si fa perché nessuno possa capire, né esser minimamente libero dalla tecnocrazia imperante e dalla manipolazione collettiva.

Tutto è stato uniformato a due o tre piattaforme, affinché solo attraverso quelle piattaforme le persone sappiano comunicare: tanto da crederle imprescindibili. I tecnocrati son diventati i sacerdoti di un culto globale, guidato col minimo sforzo da pochissimi pifferai magici. Scuola e Università italiane (tranne pochissime eccezioni) anziché contrastare il fenomeno e guidare alla libertà, hanno sùbito ceduto le armi, facendo credere agli studenti che il processo fosse ineluttabile, e che tutti dovessimo ringraziare la generosità pelosa di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft.

Avremo una generazione di cloni ammaestrati dalle app?

Occorre urgentemente invertire la rotta, prima che sia tardi. I colossi del web, dominando il tempo libero delle persone, ne soggiogano menti, cuori, opinioni, pensieri, interessi. Social media e app son costruiti per spingere alla ripetizione compulsiva dei gesti: ed ecco che i comportamenti diventano ossessivi come quelli dei topolini da laboratorio, che spingono continuamente il pulsante dell’erogatore di formaggio. Ogni app che domina i nostri giovani si basa sul meccanismo stimolo-premio per sviluppare dopamina (l’ormone del piacere, della motivazione e della dipendenza, che rende intontiti come schiavi: ore a fissare lo schermo, inebetiti e incapaci di smettere. È allora forse strano che i docenti notino negli alunni un progressivo istupidimento, che li fa scivolare in uno stato di decadente inefficienza intellettiva e pratica?

La Scuola produrrà cloni programmati dalle multinazionali?

Per questo l’insistenza sui mezzi telematici anche nella Scuola è follia. La Scuola deve liberare gli allievi dalle dipendenze, riportandoli ad assaporare ciò che veramente ci rende umani: l’interesse per la realtà, per la soddisfazione che può nascere dal dialogare coi propri simili guardandoli negli occhi, dallo sviscerare i problemi per trovarne insieme le soluzioni, dal leggere un buon libro o una poesia, dall’ascoltare una musica sconosciuta e bellissima.

La rete televisiva franco-tedesca Arte ha messo a disposizione sul proprio sito web vari brevi filmati della serie Dopamina: quando un’app diventa droga, che spiega i meccanismi ipnotici con cui le varie app ci tengono incollati allo smartphone. Mostrarli agli studenti può aiutarne la liberazione.

“Successo formativo”? O pieno sviluppo della persona umana?

Occorre però sempre ricordare che l’esempio è l’insegnamento più forte. Occorre che i docenti siano i primi a prender coscienza delle catene proprie, per imparare in prima persona a spezzarle, insegnando poi l’esperienza agli studenti. Secondo passo: smettere di approvare nei Collegi dei Docenti tutto quanto getta sempre più la Scuola in pasto alla follia telematica. Potrebbe esser l’inizio dell’inversione di rotta, perché la Scuola — non dimentichiamolo — costruisce il futuro, e fa la differenza fra attiva libertà e schiavitù inerte e passiva.