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Dirigisti, troppo coinvolti, indolenti: in quanti modi i genitori intervengono nel rapporto figli-scuola? Ce lo dice un saggio appena uscito in libreria

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Mestiere difficile quello del genitore! Anche se i papà e mamma più avvertiti, in attesa del loro primo figlio, leggono manuali su manuali di pedagogia, è sul campo, poi che si impara. Per tentativi, per aggiustamenti, cercando di trasformare ogni scelta avventata in un successo educativo. La prima comunità educante, senza dubbio, è la famiglia non la scuola.

Ma con la scuola, prima o poi, i genitori dovranno ‘fare i conti’. Ed è in questa relazione a tre – genitori, figli/alunni e docenti – che le cose si complicano.

La figura del genitore – come riporta il quotidiano “Avvenire” – e la sua presenza, o assenza, durante il percorso formativo dei figli è stata analizzata da Alessandro Bartoletti e Ilaria Cerbo, due psicologi e psicoterapeuti che hanno appena pubblicato per Franco Angeli editore, “Ogni famiglia ha il suo professore; Genitori e scuola: ancora c’è speranza”. Nel saggio, i due specialisti – analizzando le relazioni di cui parlavamo in apertura – identificano tre categorie principali di genitori: il genitore militare, l’ipergenitore e il genitore delegante.

Il primo appare estremamente coinvolto nella vita scolastica dei figli. Lo caratterizzano uno  spiccato senso del dovere, forte responsabilità e  consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo per la crescita dei figli. Ma l’esasperazione dell’etica del sacrificio – sottolineano gli autori del saggio – può far sì che il rapporto fra genitore e figlio si trasformi in una sorta di muro contro muro.

Il suggerimento principale che gli psicologi danno a questo genitore è di evitare di sminuire o sottovalutare i piccoli o grandi successi dello studente. Questi genitori devono quindi allenarsi a valorizzare non soltanto il risultato finale, ma anche il percorso di apprendimento che porta a quel risultato.

C’è poi la categoria ‘iper’: ipergenitore iperprotettivo e ipercoinvolto nella vita scolastica dei figli. La sua preoccupazione è la felicità del figlio, intesa come assenza di difficoltà e frustrazione. La sua missione è difendere a tutti i costi il figlio da esperienze spiacevoli e negative. Questo genitore andrà incontro a delusioni, perché spianare la strada e soddisfare in anticipo i desideri porterà inevitabilmente a un’insoddisfazione costante. Consiglio degli esperti: uscire dal ruolo di custodi per diventare “stimolatori dell’esperienza” e delle capacità del proprio figlio.

Terza e ultima categoria, i genitori deleganti, che affidano totalmente e completamente la formazione dei figli alla scuola. Sono fiduciosi e ottimisti. Pensano che la scuola non sia un problema e comunque che non spetti a loro occuparsene. Questi genitori sopravvalutano le capacità di autoregolazione dei figli e sovrastimano le responsabilità pedagogiche della scuola. Questi genitori, secondo i due psicologi, rischiano di assistere al lento e progressivo ritiro dei figli dal mondo della scuola e della formazione. Il ragionamento che fanno i ragazzi che si sentono trascurati è “se non è importante per nessuno, perché dovrebbe esserlo per me?”. Per gli esperti questa categoria di genitori deve decidersi a mettersi in gioco, potrebbe rivelarsi più capace di quanto immagini e i figli saranno riconoscenti dell’affetto e del coinvolgimento dimostrato.

Lo dicevamo all’inizio, mestiere difficile quello del genitore: né troppo coinvolto, né troppo dirigista, né troppo delegante, il rischio di sbagliare è dietro l’angolo. E allora ecco qui il consiglio finale degli esperti: occorre essere in grado di utilizzare una certa ironia nei confronti della propria modalità educativa, essere capaci di non prendersi troppo sul serio, ma di considerare invece seriamente il fatto di essere un punto di riferimento educativo, affettivo e “professorale” per i propri figli.