
Il 26 giugno del 1967, esattamente 58 anni fa, moriva don Lorenzo Milani, il Priore di Barbiana.
Quasi per caso una decina di anni prima aveva “inventato” la scuola di Barbiana, una delle più straordinarie esperienze educative e pedagogiche della seconda metà del Novecento.
L’esperienza è descritta in prima persona dagli stessi alunni che la vissero e sta tutta in un libro famosissimo che ancora oggi viene periodicamente pubblicato dalla Libreria editrice fiorentina.
Il titolo (Lettera ad una professoressa) nasce da un fatto reale, accaduto alle scuole medie di Vicchio, nel Mugello, dove le professoresse avevano bocciato un sacco di ragazzi/e continuando la tradizione.
Fra questi bocciati c’era anche il figlio di una famiglia di contadini che fece scattare in don Milani la molla su cui nacque la scuola a Barbiana.
Negli anni ’50 don Lorenzo aveva lavorato a Calenzano nella “scuola popolare” per giovani operai, ma l’esperienza di Barbiana è completamente diversa: si trattava di una “anti-scuola” inventata al volo per tutti i bambini e ragazzi preadolescenti e adolescenti della zona di Vicchio che “andavano male” a scuola. In poco tempo una scuola per la quale il Priore cercava fino a casa i bambini e ragazzi di cui sapeva i guai con le professoresse.
La “pedagogia” donmilaniana, mirabilmente esposta nella “Lettera”, si può riassumere in tre comandamenti:
1. Non bocciare
2. Dare di più a chi ha di meno
3. Ai ragazzi dare uno scopo
In una intervista all’ispettore Raffaele Iosa, uno dei più attenti studiosi del lavoro di Don Milani, avevamo raccolto a suo tempo queste considerazioni: “Per Don Milani la “promozione” era un obiettivo pedagogico che prevedeva una didattica e un’organizzazione degli insegnamenti-apprendimenti centrate sul “recupero” dei gap culturali dell’ambiente familiare e sociale. Voleva dire anche il “pieno tempo” come occasione di spazi e ore di scuola in più e in forme diverse dalle didattiche tradizionali che superavano il paradosso della scuola media come “ospedale che cura i sani e abbandona i malati” (altra frase celebre di don Milani). Ma voleva anche dire (cosa non meno importante degli altri due) offrire ai ragazzi la scoperta e la scelta di uno scopo etico e culturale della propria vita. Scopo che non era solo il prosaico “orientamento per il dopo e la vita adulta” (questione importante ancora oggi sul passaggio dalle medie alle superiori), ma era anche una “scelta politica”. E lo scopo principale per Barbiana era (non c’è dubbio) quel “sortirne insieme è la politica” cioè uno sviluppo umano del civis adolescente e poi adulto in cui la politica, con la partecipazione, era la più nobile arte del vivere”.
A distanza di più di mezzo secolo sono ancora di straordinaria attualità le considerazioni del Priore sul tema dell’insegnamento linguistico.
D’altronde per Don Milani la questione della lingua era talmente centrale che la Lettera era stata prodotta con la tecnica della “scrittura collettiva” che don Milani aveva preso da Mario Lodi.
Nonostante tutto c’è ancora chi oggi continua a pensare che i mali della scuola italiana del nuovo millennio derivino da un presunto “buonismo” introdotto proprio da Don Milani.
Ma così non è, perché in realtà il Priore era un educatore severo che pretendeva da tutti il massimo impegno possibile e la “promozione facile” era lontana anni luce dal suo modo di intendere la scuola e i processi di insegnamento.
Lo slogan “non bocciare” era, per lui, un forte richiamo al senso di responsabilità che dovrebbe far sempre parte del bagaglio professione e umano di ogni insegnante.
Non a caso all’ingresso della scuola di Barbiana aveva fatto mettere una insegna con la scritta “I care”, cioè “Io mio prendo cura”.