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Esame di maturità, con la riforma non si potrà fare “scena muta” al colloquio; ma come si stabilisce se il silenzio è “ostinato”?

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Con il voto espresso dal Senato nella giornata del 15 ottobre la “riforma” dell’esame di Stato può intendersi virtualmente approvata: il prossimo passaggio alla Camera sarà di fatto poco più che un pro forma, per i primi giorni di novembre il decreto 127 del 9 settembre sarà definitivamente convertito in legge e verso la metà del mese prossimo il percorso si concluderà definitivamente con la pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale.

Uno dei punti più controversi della riforma riguarda la misura voluta dal ministro Valditara per evitare il ripetersi di episodi di “scene mute” alla prova orale come manifestazioni di protesta contro l’esame (episodi che quest’anno hanno coinvolto non più di qualche studente su 500mila, praticamente lo 0,0001% del totale).

La norma inserita nel testo di legge è molto sintetica e dice: “L’esame di maturità è validamente sostenuto se il candidato ha regolarmente svolto tutte le prove di cui al comma 2” (le prove in questione sono appunto le due prove scritte nazionali e il colloquio orale).

Ma cosa si debba intendere con l’espressione “validamente sostenuto” la legge non lo dice; ma c’è una precisazione nella relazione illustrativa: “La disposizione intende escludere la validità dell’esame, laddove anche una delle prove non sia stata regolarmente sostenuta, specificamente nel caso della prova orale qualora il candidato si rifiuti deliberatamente di discutere le tematiche o di rispondere alle domande poste dalla commissione esaminatrice, adottando un comportamento volto a compromettere lo svolgimento e l’esito della prova stessa”.

A chiarire la formulazione contenuta nella relazione interviene il dossier predisposto dagli uffici legislativi del Senato che contiene un lungo passaggio evidenziato in grassetto: “Pertanto, si intende escludere la validità dell’esame, laddove anche una delle prove non sia stata regolarmente sostenuta, ad esempio, nel caso della prova orale qualora il candidato si rifiuti deliberatamente di discutere le tematiche o di rispondere alle domande poste dalla commissione esaminatrice, adottando un comportamento volto a compromettere lo svolgimento e l’esito della prova stessa. Con ciò la relazione afferma di voler colmare un vuoto interpretativo, prevedendo l’invalidità della prova nei casi in cui emerga una chiara intenzionalità elusiva da parte del candidato, manifestata attraverso un rifiuto consapevole e persistente di interagire con la commissione, anche sotto forma di silenzio ostinato o sistematica mancanza di collaborazione a fronte delle sollecitazioni formulate in sede d’esame”.

La norma sembra quasi scritta apposta per lasciare spazio ad un ampio contenzioso sul quale potrebbero cimentarsi gli esperti di diritto amministrativo: cosa si deve intendere per “chiara intenzionalità elusiva”? come si potrà dimostrare il “rifiuto consapevole e persistente di interagire con la commissione”? quando il silenzio potrà essere definito “ostinato”?
Senza considerare che se mai un caso di “scena muta” dovesse essere discusso nelle aule di un TAR, sarà molto difficile che giudici e avvocati si confrontino sulla relazione illustrativa e sul testo del dossier.
Uno dei principi giuridici più noti, che si apprende ancora prima di affrontare lo studio dei “codici”, dice una cosa molto chiara: “quod lex voluit, dixit”, ossia “ciò che la legge vuole, lo dice”. In altre parole: la legge va interpretata nel suo significato letterale; nel caso in cui l’interpretazione letterale risulti difficile o particolarmente controversa, bisogna affidarsi ad una norma di “interpretazione autentica” ossia ad una nuova disposizione di legge.
Fino ad oggi, insomma, relazioni illustrative dossier parlamentari non sono mai serviti nelle aule di giustizia. E, per il momento, è difficile pensare che sulla validità dell’esame di maturità possa accadere per la prima volta ciò che finora non è accaduto.